La Corte d’Appello di Roma ha confermato le condanne a un anno e mezzo di carcere per il boss dei Casalesi Francesco Bidognetti, già detenuto in regime di carcere duro dal 1993, e a un anno e due mesi per il suo avvocato Michele Santonastaso, per le minacce mafiose rivolte nel 2008 a Roberto Saviano e alla giornalista Rosaria Capacchione.
“Mi hanno rubato la vita”, ha detto Saviano, abbracciando il suo avvocato, Antonio Nobile, riferendosi non solo agli anni passati sotto scorta, ma anche al peso simbolico e personale di una minaccia pronunciata pubblicamente in un’aula di tribunale. “Sedici anni di processo non sono una vittoria per nessuno – ha aggiunto – ma ho la dimostrazione che la camorra in un’aula di tribunale, pubblicamente ha dato la sua interpretazione: che è l’informazione a mettergli paura. Ora abbiamo la prova ufficiale in questo secondo grado che dei boss con i loro avvocati firmarono un appello dove – sottolinea lo scrittore – misero nel mirino chi raccontava il potere criminale. E non attaccarono la politica ma il giornalismo insinuando che avrebbero ritenuto i giornalisti, e fu fatto il mio nome e quello di Rosaria Capacchione, i responsabili delle loro condanne. Non era mai successo in un’aula del tribunale in nessuna parte del mondo”, spiega Saviano
Con questa pronuncia è stata tracciata l’ennesima tappa di un lungo procedimento, nel quale sono parte civile la Federazione nazionale della stampa italiana (FNSI) e l’Ordine dei giornalisti. I giudici della Corte di Appello hanno confermato quanto stabilito già in primo grado i giudici della Quarta sezione penale del Tribunale di Roma, che avevano riconosciuto l’aggravante del metodo mafioso al reato di minaccia.
I fatti risalgono al 13 marzo 2008, quando durante il processo d’appello Spartacus a Napoli, l’avvocato Santonastaso lesse un documento firmato anche da Bidognetti, nel quale, nell’ambito di una richiesta di ricusazione della Corte, puntava il dito contro Gomorra e gli articoli della Capacchione su Il Mattino, accusandoli di influenzare la Corte. L’intimidazione fu così diretta e clamorosa da spingere all’innalzamento immediato della scorta per Saviano.
Per la Direzione Distrettuale Antimafia, si trattò di una minaccia mafiosa vera e propria. Il processo è poi approdato a Roma dopo che la Cassazione, otto anni fa, annullò la sentenza della Corte d’Appello di Napoli trasferendo per competenza territoriale il procedimento nella capitale. Oggi, la giustizia ha dato un segnale chiaro. Una vittoria simbolica per l’informazione libera, ma soprattutto una condanna definitiva contro chi ha cercato di ridurla al silenzio con la minaccia.


