Mutatis mutandis, è l’urlo liberatorio di Di Maio & dimaietti che, un minuto dopo la scissione, già sputavano sul loro passato e si scusavano per i loro meriti. Di Maio aveva già iniziato, rinnegando le sacrosante critiche a Mattarella e Draghi, la visita ai Gilet gialli (molto opportuna se non fosse stato ministro), persino la normale richiesta di dimissioni al sindaco arrestato Uggetti (ora lo incoraggerebbe a riunire la giunta nell’ora d’aria). Intanto digeriva senza un ruttino le controriforme draghiane che ammainavano non solo le bandiere del M5S (Spazzacorrotti, Superbonus, pace, ambiente), ma persino le sue (dl Dignità).
Alla compagnia s’è aggiunta Lucia Azzolina, ex buona ministra, ora in stato confusionale: per 17 mesi ha denunciato i disastri del successore Bianchi, dai tagli alla scuola alla sanatoria dei precari (lei, per averla rifiutata, è sotto scorta); ora va con chi dipinge Conte come un islamista radicalizzato perché non è abbastanza filogovernativo e presto sarà alleata di chi la insultava per il rossetto rosso e i banchi a rotelle.
E Conte dovette imbastire una trattativa in salita con Draghi per sventare la minaccia almeno per i reati più gravi. Ora la giureconsulta dice “mai più gogne” come una renzian-forzista qualsiasi, esalta il bavaglio detto “presunzione d’innocenza” e accusa i 5Stelle di violare il “fine rieducativo della pena” perché vogliono in carcere i condannati al carcere (la pena, per rieducare, dev’essere finta).
È l’antipasto del prossimo Salvaladri Cartabia per liberare i condannati sino a 4 anni. Finora il M5S poteva bloccare queste porcate. Oggi, grazie ai dimaiani, può solo restare a guardare. Oppure uscire e tornare fra la gente. E sarà sempre troppo tardi.
Marco Travaglio



