L’America farà la fine dell’Unione Sovietica? Quando nel giugno 2024 il celebre storico Niall Ferguson lanciò questa bomba poteva sembrare provocazione
Oggi nell’America in crisi d’identità la battuta può suonare senso comune. Il biografo di Kissinger citava il mostruoso debito federale — esploso nel frattempo a 38mila miliardi di dollari — le Forze armate in affanno, l’ideologia fasulla delle élite, la precaria salute della popolazione, i leader senescenti: «Suona familiare?». E aggiungeva: «Immagino due marinai americani che mentre la loro portaerei affonda presso Taiwan si chiedono — i sovietici siamo noi?».
La lugubre fantasia di Ferguson viene alla mente scrutando il linguaggio del corpo di Donald Trump e Xi Jinping al vertice di Busan, in Corea del Sud.
L’espressione fissa, quasi assente, del leader cinese, che ignora il supposto numero uno del pianeta impegnato a snocciolare le sue iperboli insensate è il simbolo della fine di un’era.
Quella che per ottant’anni ha visto gli Stati Uniti porsi al di sopra della mischia delle potenze e regolarne il traffico.
L’America non è più sovraordinata rispetto al resto del mondo. Trump è il ritratto di un impero che abdica all’egemonia per salvare la nazione in pericolo di vita. Un senso di vuoto promana dal fu centro del mondo.
L’incontro sudcoreano non sarà ricordato per la vaga tregua sul fronte commerciale, inevitabile finché i duellanti sono coscienti di aver bisogno l’uno dell’altro. Passa invece agli atti come il primo vertice sino-americano in cui il numero uno non è più considerato tale dal rivale.
E da gran parte degli stessi americani, che al 70% confessano di non credere più nell’American dream. Cioè in sé stessi.
Non per chissà quale fantastica rimonta della Cina, tutt’altro che al meglio della salute. Ma perché il colosso a stelle e strisce è stanco di reggere le redini dell’umanità e lo strilla a squarciagola.
Lucio Caracciolo


