Erano sette fratelli nati a Campegine (Reggio Emilia), cresciuti nella stessa casa, figli di Alcide e Genoeffa Cocconi, in una famiglia contadina fatta di lavoro e dignità
Cattolici, democratici, antifascisti per istinto, i fratelli Cervi studiano, leggono, innovano, portano libri e macchine agricole dove c’erano solo consuetudini antiche, costruendo una modernità che è insieme economica e morale.
Quando arrivano la guerra e la dittatura, la loro casa diventa rifugio: per antifascisti, partigiani, prigionieri stranieri fuggiti dai campi nazifascisti.
La Resistenza entra così nella loro vita non come gesto eroico, ma come conseguenza naturale di ciò che sono.
Nasce la Banda Cervi, da lì non si torna indietro.
Nella notte tra il 24 e il 25 novembre 1943 arrivano i fascisti: rastrellano, catturano, portano via i fratelli e alcuni compagni, rinchiudendoli nel carcere dei Servi a Reggio Emilia.
Il padre Alcide viene separato da loro, ignaro di ciò che sta per accadere.
Il 27 dicembre viene ucciso un fascista.
Il regime decide la rappresaglia.
Il 28 dicembre 1943 i sette fratelli Cervi vengono scelti.
Non per un processo, non per una responsabilità individuale, ma perché colpire loro significa colpire un simbolo, spezzare una famiglia per terrorizzare una comunità intera.
Vengono fucilati tutti insieme. È una strage deliberata, un atto politico, la manifestazione più cruda della violenza nazifascista repubblichina.
Solo nell’ottobre 1945, dopo la Liberazione, Alcide Cervi riesce finalmente a celebrare un funerale solenne per i figli, accompagnati dall’affetto della popolazione fino al cimitero di Campegine, dove pronuncia la frase entrata nella leggenda: “Dopo un raccolto ne viene un altro”.
Sono 80 anni esatti oggi.
Il ricordo dei fratelli Cervi Resiste oggi nella memoria instancabile di Adelmo Cervi, figlio di Aldo, una delle persone più belle che abbiamo in Italia.
Non è solo memoria. È dovere civile.
Celebrarli ogni anno un atto antifascista.



