È stato un giorno importante per la Siria: si sono svolte infatti, (ieri 5 ottobre) le prime elezioni parlamentari dalla caduta del dittatore Bashar al-Assad, destituito lo scorso dicembre dopo 24 anni ininterrotti al potere. Durante il mezzo secolo di governo della dinastia alawita – prima sotto il padre di Bashar, Hafiz, in carica dal 1971 al 2000, e poi sotto Bashar stesso, salito al potere al cambio del millennio
– la Siria ha formalmente tenuto elezioni regolari in cui tutti i cittadini potevano votare, ma in pratica il partito Baath, guidato dal capo incontrastato del Paese, ha sempre dominato il Parlamento e le votazioni erano ampiamente considerate come fittizie.
Siria, il presidente ad interim al-Sharaa annuncia la formazione del nuovo governo
Il voto tuttavia non è stato un processo completamente democratico e ha già attirato diverse critiche, su più fronti. La maggior parte dei seggi dell’Assemblea del Popolo viene infatti assegnata dai collegi elettorali di ciascun distretto in cui è diviso lo Stato, mentre un terzo è nominato direttamente dal presidente ad interim Ahmad al-Sharaa, che ha guidato le truppe di Hayat Tahrir al Sham (responsabili della fine del dominio degli Assad, capitolato in pochi giorni e nel modo più inaspettato).
Pur non essendo un voto del tutto regolare, svolto secondo standard democratici, i risultati delle elezioni saranno probabilmente letti come un barometro della serietà con cui le autorità provvisorie intendono portare avanti la transizione verso la democrazia. E come intendono porsi rispetto ai parametri di inclusività, in particolare delle donne e delle minoranze: in Parlamento, infatti, non sono stati riservati posti alle donne e ai rappresentati dei drusi e dei curdi. Al Shara, tra le sue nomine, potrebbe scegliere vari esponenti appartenenti a questi due gruppi, anche se è pensiero abbastanza diffuso che il capo dello Stato provvisorio indichi uomini a lui fedeli.


