A un certo punto Trump ci ha concesso una battuta di spirito dicendo a Starmer, l’inglese: “Dite di essere una democrazia, ma non è vero: avete un re”. Starmer ha riso, un po’ servilmente, sollevato come qualcuno sul quale il fulmine è caduto e in teoria non cadrà di nuovo.
Si sbagliava: qualche ora più tardi camminava davanti all’hotel dalla parte di Trump, questi ha lasciato cadere da una cartelletta alcuni fogli che si sono sparpagliati a terra e, visto che il presidente americano non ci pensava proprio a raccoglierli, è stato Starmer, dopo un istante di esitazione, ad abbassarsi e letteralmente inginocchiarsi ai piedi del padrone- immagine devastante che ha evidentemente fatto il giro del mondo”.
Basterebbe tale istantanea, raccolta dallo scrittore Emmanuel Carrère nel suo reportage al G7 in Canada del giugno scorso per comprendere lo stato di soggezione che il maschio Alfa- “abito blu notte, cravatta rossa, volto arancione, corpo massiccio e rigido, praticamente mai un sorriso” – incute al prossimo, Ursula von der Leyen compresa. Non si tratta di attenuare la sconfitta politica e negoziale subìta sulla questione dei dazi dalla presidente della Commissione europea, e dunque dell’Europa tutta
. Ma il racconto del grande scrittore francese (pubblicato su La Lettura del Corriere della Sera di domenica 27 luglio), testimone diretto di come ne basti uno per surclassare gli altri sei pone alcuni interrogativi sul futuro del mondo cosiddetto occidentale resi espliciti dal brano che segue. Carrère cita con assoluta pertinenza la variante del Monopoli ideata per le figliastre quando erano piccole dal romanziere di fantascienza Philip K. Dick per rendere meno noiosi gli eterni acquisti di immobili.
“Il Banco, in questa variante, si chiama il Ratto che detiene il potere discrezionale di modificare le regole del gioco. Quando vuole, come vuole, senza che nessuno abbia il diritto di chiedergli conto di questi ukaze, e senza che lo impegnino a nulla per il seguito. È la tabula rasa perpetua, la dittatura allo stato puro, la negazione dell’idea di diritto”. Infatti, un Ratto degno di questo nome “deve saper dosare i tormenti che infligge ai giocatori, lasciare loro supporre che un piano guidi le sue decisioni arbitrarie e, passando per crudeli delusioni e incoraggiamenti ingannevoli, strapparli alla loro pratica abituale del Monopoli, senza che l’interesse diminuisca, per farli sprofondare nel caos”.
Ci volevano la penna e l’acume di uno scrittore per allontanarci da una qualunque speranza di rapido ritorno alla vita normale. Per i prossimi tre anni, almeno, di Donald il Ratto non ci liberemo (a meno di sconvolgimenti imprevedibili). La cosa peggiore è, però, che il massiccio signore in tinta arancione potrebbe finire per sembrarci il male minore se confrontato con altri due famelici Ratti di nome rispettivamente Vladimir e Bibi. Quanto ai poveri sorci sottomessi ai voleri del presidente bullo la domanda riguarda semmai i loro elettori. Quelli speranzosi di conquistare un Parco della Vittoria e che si ritrovano in un Vicolo Stretto e senza uscita.
Antonio Padellaro


