Il ministro delle imprese e del made in Italy, Onorevole Adolfo Urso, nel corso dell’assemblea generale di Assolombarda a Milano, ha annunciato la prossima convocazione, l’ennesima, del colosso ex italiano dell’auto, senza tuttavia però indicare una data precisa; e soprattutto, senza precisare se stavolta a confrontarsi con il Governo sarà finalmente chiamato il Presidente John Elkann anziché, come è avvenuto finora, il CEO Carlos Tavares designato verso un aureo pensionamento
Il Sindaco Lo Russo, il CEO Tavares, il Presidente Elkann, il Governatore Cirio
Stellantis renda all’italiana ciò che Fiat dall’Italia ha ricevuto. Efficace a dirsi, ma non a realizzarsi. Il messaggio lapidario, a titolo di ammonimento, è arrivato ieri dal Ministro Urso alla conclusione della plenaria di Assolombarda e della inaugurazione della casa del made in Italy a Milano. Se si dovesse però utilizzare un gergo calcistico, la somma di ammonizioni cumulate dalla multinazionale franco anglo olandese avrebbe già dovuto condurre la stessa a un numero incontabile di squalifiche.
Sta di fatto che ciò non è possibile, anche perché Stellantis, per quanto oramai orfana di italianità in senso giuridico societario, rimane l’unico soggetto costruttore di autovetture nel Belpaese.

Secondo una stima che dodici anni fa venne redatta dall’associazione Federcontribuenti – alla vigilia della fusione tra la Fiat e la statunitense Chrysler sotto l’egida del compianto Sergio Marchionne che avrebbe condotto al battesimo di FCA – la ex casa automobilistica torinese avrebbe beneficiato, dal secondo dopoguerra fino a quel momento, di circa 220 miliardi di euro ai valori attualizzati all’epoca, fra ammortizzatori sociali, integrazioni salariali, pensionamenti anticipati, sussidi alla costruzione di stabilimenti, reiterati incentivi alla rottamazione.
La questione contabile potrebbe tuttavia essere più complicata, poiché una stima certa dell’apporto del bilancio statale e dei bilanci pubblici alla continuità operativa ed esistenziale degli stabilimenti ex Fiat non è possibile, a causa delle molte variabili e casistiche di aiuto e di intervento sia diretto che indiretto messe in pista da Governi, società parastatali, amministrazioni regionali e locali, comunità europea.
È un dato di fatto che, soltanto negli ultimi mesi, il decreto Rottamazioni del ministro Urso ha offerto, pur con tutta una serie di paletti, un ulteriore miliardo di euro che, soltanto in minima parte, è andato a beneficiare la capacità produttiva e occupazionale di siti oramai in coma vegetativo, e di marchi storici oramai industrialmente delocalizzati (dalla Topolino in Marocco alla nuova Panda in Serbia) ovvero finiti nel mirino di più che potenziali compratori cinesi.
Nei confronti del duo Elkann/Tavares, in questo particolare momento non soltanto contingente, sembra essersi formato un blocco politico sociale che va dal Governo alla Fiom passando per la Confindustria del nuovo Presidente Emanuele Orsini, assurta a sindacato delle piccole e medie imprese della subfornitura automotive dopo essere rimasta “orfana” di un associato di lusso come era la Fiat del tempo di casa Agnelli.
Certamente, la transizione elettrica modello Bruxelles ha le proprie colpe nei rischi della deindustrializzazione strisciante, ma rimane un dato di fatto che il vecchio Continente si è mosso con eccessivo ritardo sul fronte delle nuove tecnologie per l’auto, lasciando amplissime praterie ai tanto temuti cinesi, e pensando adesso di poter riportare il bilancio alla pari con l’imposizione di dazi fuori tempo massimo sebbene in linea di massima condivisibili, ma che Pechino sta già studiando come scavalcare, legalmente, con l’apertura e l’estensione di unità manifatturiere del Dragone in vari Paesi della UE. Un capitolo, quest’ultimo, rispetto al quale il Belpaese sembra essere da qualche settimana uscito dai radar, complice probabilmente la netta opposizione della Lega di Salvini, forse perché si spera nella benevolenza di Elon Musk, papabile consigliere di una futura Amministrazione Trump bis alla Casa Bianca e buon amico di Giorgia Meloni.
Rimane un fatto che il tavolo di Urso sembra essersi oramai ridotto a un tavolino da thè con le gambe limate. Troppo poco per sperare di salvare un settore che, nonostante il depauperamento industriale e lavorativo, vale – ai sensi dei dati più attuali che tuttavia dovranno fare i conti con la purtroppo confermata recessione tedesca, da contabilizzare – 90 miliardi di volume d’affari e 5 punti di reddito nazionale.
Un dato è conclamato: a fronte di un prodotto industriale aggregato in calo da oltre un anno mezzo, il ruolo dell’Italia come quarto Paese esportatore sulla scena mondiale si spiega con politiche tese al soddisfacimento degli ordini tramite lo svuotamento dei magazzini aziendali.
Dir politico Alessandro Zorgniotti





