Storia di un parroco, Federico Albert: Il beato lanzese che fondò le Suore Albertine

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LANZO TORINESE – Il 30 settembre 1876 moriva Federico Albert, parroco di Lanzo e fondatore della Congregazione delle Suore Albertine.

Nell’anno 1984 (108° anniversario della sua morte), in San Pietro a Roma, il 30 settembre la Chiesa lo dichiarava “Beato”.

Le virtù e le qualità speciali di quest’uomo venivano dunque riconosciute e premiate dopo più di un secolo, essendo egli stato vicario parrocchiale e foraneo (fuori città) di questa comunità dal 1852 al 1876.

In quell’omelia celebrativa in San Pietro, papa Giovanni Paolo II, tra l’altro, ebbe a dire di lui: “ … totalmente dedito al bene delle anime a lui affidate ed ai bisogni dei poveri… avendo maturato la vocazione al sacerdozio in età adulta, non ebbe la possibilità di frequentare il seminario, tuttavia si preparò a diventare prete in modo da essere oggi proposto come valido modello per i sacerdoti…”.
La sua causa di beatificazione fu introdotta il 13 giugno 1934 da papa Pio XI; papa Pio XII riconobbe e promulgò l’eroicità delle sue virtù con decreto del 16 gennaio 1953; nel marzo della stesso anno, dopo solo due mesi, accadde il miracolo che sancì la sua beatificazione. Il 25 marzo, infatti, Giacomo Geninatti di Mezzenile venne dimesso dalla clinica Albert di Torino perché – per consenso unanime dei medici – non più curabile ed affinché potesse morire sereno a casa sua in famiglia.

La diagnosi, sinteticamente riportata, fu: “…ostruzioni intestinali multiple, peritonite per pregressa appendicite cancrenosa con peritonite diffusa purulenta…”.

Durante il penoso viaggio di ritorno a casa, Giacomo volle fare una sosta a Lanzo presso il sepolcro del Venerabile, ottenendo una istantanea, inspiegabile ed improvvisa guarigione. Il processo circa l’asserita miracolosa guarigione fu iniziato nel 1963 e si è concluso solo nel 1981.

Questa sintesi descrittiva dei tempi e delle modalità legate alla beatificazione però nulla dice della sua vita operosa, ricca di fede, religiosità ed altruismo, nella dimensione storica, sociale e religiosa del suo tempo.

Federico, di origini borghesi, nacque a Torino il 15 ottobre 1820, figlio di un tenente del Corpo di Stato Maggiore Generale dell’esercito del re di Sardegna Vittorio Emanuele I e della figlia di un notaio di Giaveno, quartogenito dopo tre sorelline, poi seguito da un fratellino, che morì subito dopo, a 17 mesi, ed ai quali si aggiunsero ancora una sorella e un fratello. Famiglia numerosa e sfortunata: tra il 1832 ed 1836 morirono le tre sorelle maggiori e nel 1849 anche la sorella minore. Federico crebbe quindi solo con i genitori ed il fratello minore, Alessandro, che gli sopravviverà.

Studiò nel Collegio di San Francesco da Paola, a Torino, poi avrebbe dovuto iscriversi, per volontà dal padre, all’Accademia Militare, volontà in primo tempo da lui condivisa. Poi improvvisamente cambiò opinione e si iscrisse a filosofia all’università di Torino, per poi laurearsi in teologia. Dal 1836 al 1843 non fu chierico del seminario ma chierico esterno (restò a casa sua). Pure, predicò per Don Bosco nel 1847, e fu poi chierico della Real Cappella dal 1838 al 1852, anno in cui venne parroco a Lanzo.

Visse e soffrì per lo scontro tra  Stato e Chiesa di quegli anni, questioni che furono probabilmente la causa prima che lo spinsero ad accettare la parrocchia lanzese rinunciando alla prestigiosa Real Capella. Si staccò così dalle “beghe cittadine” e nel suo nuovo incarico mantenne ottimi rapporti sia con la Real Casa dei Savoia, sia con il rigido e severo arcivescovo Fransoni sia, infine, con le autorità cittadine.

Ma il vero Federico riversò la sua maggiore attenzione verso la gente, i poveri, le sue pecorelle; infatti all’ingresso parrocchiale fece scrivere in latino (perché da lui per primo da intendere ed era suo compito applicarle) le parole di Giovanni evangelista: “Bonus pastor vitam suam dat pro ovibus suis” (il buon pastore dà la sua vita al suo gregge: una Lanzo contadina, 2.200 anime). Un’attività la sua che non conobbe soste né ripensamenti e che andrà in crescendo fino alla morte, in un ambiente in cui la povertà era molto diffusa. Il teologo, il futuro brillante ufficiale che sarebbe potuto diventare, si tira su le maniche ed opera con mille iniziative tutte dedite a migliorare lo stato sociale, anche governando le mucche.

Per la chiesa parrocchiale – cadente e poco confortevole – non solo impegnò il suo  patrimonio personale, ma si fece anche architetto, pittore e muratore, trasportando persino a spalla le pietre della Stura. Per il corpo e lo spirito dei suoi parrocchiani fu ancora più attivo. Promosse l’orfanotrofio, l’oratorio ed un Educandato per famiglie benestanti dei cui introiti poterono beneficiare anche i ragazzi e le ragazze meno abbienti.

Neppure nelle avversità le sue energie si affievolirono: quando nel 1868 le suore di Sant’Antida si ritirarono dall’Educandato e le furono rifiutate le suore del Cottolengo, egli in tutta fretta si fece approvare un regolamento dalla diocesi torinese e promosse un suo organo militante: le prime suore fecero la vestizione il 14 ottobre 1869; erano nate le Suore Vincenzine di Maria Immacolata, con l’incarico di umiltà e carità nelle opere di misericordia, innanzitutto quelle spirituali.

Non avendo potuto realizzare un Oratorio tutto suo per i ragazzi (i Salesiani ottennero nel frattempo di costruire il Collegio) l’Albert non si perse d’animo e progettò tra il 1873 ed il 1876 una Colonia Agricola per i suoi giovani contadini; la sua morte improvvisa avvenuta a Lanzo il 30 settembre 1876 a soli 56 anni pose fine alle sue attività.

Le vita del beato Federico Albert, qui forzatamente riassunta e quindi incompleta e non esaustiva, vuole ricordare un sacerdote ed un uomo che non ebbe solo meriti e riconoscimenti religioso-spirituali, la beatificazione appunto, ma anche civili.

Tra l’altro fu insignito della Croce di Cavaliere e di Ufficiale dell’Ordine Mauriziano (1858 e 1864) e di Cavaliere della Corona d’Italia (1876).

Le qualità dell’uomo segnano un alto grado di integrità morale quando rifiutò la nomina a vescovo di Pinerolo (1873) – ottenendo l’esenzione solo dopo ripetute suppliche –  per non lasciare “il suo gregge” a cui aveva tutto solennemente dedicato con quella frase latina., a cui rimase sempre fedele.

Riferimenti bibliografici
<> Paolo Damosso – Uno ogni cinquecento anni, Federico Albert – Cinisello
Balsamo (MI), Edizioni San Paolo, 2009, 243 p.;
<> Federico Albert jr., José Cottino – Federico Albert parroco di Lanzo – Società
Storica delle Valli di Lanzo, 1985, 64 p.;
<> Un centenario da ricordare – Suore Vincenzine, Lanzo Torinese, 1976, 48 p.;
<> Federico Albert 1984 – Torino, Scuola grafica salesiana, 1985, 96 p.

La foto è tratta, poi elaborata dalla rete, da un santino Holy Card dipinto da Gianni Abello.

Franco Cortese  Notizie in un click