Sui migranti Ursula parla come Giorgia

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Agiremo per rafforzare le nostre frontiere esterne e prevenire la migrazione irregolare. Forniremo un pacchetto integrato di infrastrutture mobili e fisse, dalle automobili alle telecamere, dalle torri di guardia alla sorveglianza elettronica

Potrebbe essere una dichiarazione di Giorgia Meloni. Invece è di Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea. E descrive le decisioni sul tema dei migranti prese dal Consiglio europeo la scorsa notte. Decisioni che lasciano intendere un irrigidimento della politica europea. Tanto da far dire alla stessa Meloni che finalmente in Europa “è cambiato l’approccio” e che il Consiglio europeo si è chiuso “con un successo per l’Italia”.

Arrivano i muri. La parola che riassume questo approccio, da ieri, è “muri”: da costruire, da sostenere, da tollerare, sia in terra che in mare. In forme che andranno verificate, ma il termine viene sdoganato, tanto che il gruppo socialista al Parlamento europeo avverte: “Nessun finanziamento Ue per i muri in Europa”. Come nota il premier olandese, Mark Rutte, quando il tema migranti riacquista centralità vuol dire che la politica europea entra in fibrillazione. Non a caso, proprio Meloni fa sapere che con Rutte ha trovato diversi punti in comune. E sulla politica migratoria in Europa non ci sono tutte queste differenze.

Il documento conclusivo, nel solito linguaggio ambiguo, non parla di muri. Parla di prevenzione “delle partenze irregolari”, di riduzione della “pressione sulle frontiere dell’Ue” e, ovviamente, di lotta contro i trafficanti. Fa riferimento al dialogo e alla cooperazione con “i Paesi di origine e di transito” per prevenire i flussi irregolari”. Poi però si fa più netto: “È necessaria un’azione rapida per garantire rimpatri efficaci, dall’Unione europea e dai Paesi terzi situati lungo le rotte, verso i paesi di origine e di transito, usando come leva l’insieme delle politiche, degli strumenti e dei mezzi pertinenti di cui l’Ue dispone, compresi la diplomazia, lo sviluppo, il commercio e i visti, nonché le opportunità di migrazione legale”. In questo senso si punta a utilizzare il meccanismo previsto dall’articolo 25 bis del Codice dei visti, “compresa la possibilità di introdurre misure restrittive in materia di visti nei confronti dei Paesi terzi che non cooperano sui rimpatri”.

Frontiere sicure. Ma è sul controllo delle frontiere esterne, terrestri e marittime, che la decisione presa sarà gravida di conseguenze. Perché oltre a esprimere pieno sostegno all’Agenzia europea della Guardia di frontiera e costiera (Frontex), invita la Commissione “a finanziare misure degli Stati membri che contribuiscono direttamente al controllo delle frontiere esterne dell’Ue” e chiede “di mobilitare immediatamente ingenti fondi e mezzi dell’Ue per sostenere gli Stati membri nel rafforzamento delle capacità e delle infrastrutture di protezione delle frontiere, dei mezzi di sorveglianza – compresa la sorveglianza aerea – e delle attrezzature”.

È quanto chiedevano lo scorso 6 febbraio i primi ministri di Austria, Danimarca, Estonia, Grecia, Lituania, Malta, Lettonia e Slovacchia, sostenitori di una linea dura. Ed è lo stesso punto che rivendica Giorgia Meloni quando sottolinea “le specificità delle frontiere marittime” e la necessità di una cooperazione rafforzata “in ordine alle attività di ricerca e soccorso” mostrandosi soddisfatta “del gruppo di contatto europeo in materia di ricerca e soccorso”.

Meloni annuncia l’abbandono della tradizionale richiesta di “redistribuzione” dei migranti che arrivano in Italia per passare a una linea di maggior contrasto all’ingresso di “irregolari”. E quindi sottolinea il “rilancio del gruppo di contatto” perché vuol dire riprendere “un lavoro che si era formato sul tema della regolamentazione, materia molto complessa da discutere in Consiglio europeo, che io ho posto con forza”.

Il gruppo di contatto era già una proposta di Marco Minniti, ministro dem dell’Interno del governo Gentiloni. Nel 2017 promosse una “iniziativa senza precedenti” invitando a Roma i ministri degli Interni di Germania, Francia, Slovenia, Svizzera, Austria e Malta, insieme a Tunisia, Algeria e Libia, “nel quadro del Gruppo di contatto Europa-Africa Settentrionale dell’Ocse”, di cui l’Italia era alla guida.

L’approccio nuovo quindi è una cosa vecchia: “C’era un tavolo di lavoro, che si chiama Gruppo di contatto europeo, che non lavorava più e non si è più riunito. Quel gruppo di contatto è stato ripreso dopo il caso della Ocean Viking, grazie a una posizione italiana, e le conclusioni del Consiglio europeo parlano di rilancio del gruppo di contatto”.

Le posizioni europeiste e quelle nazionaliste, quindi, si avvicinano e si toccano. Ed è paradossale che i termini più crudi, “torri di guardia” siano utilizzati da Von der Leyen e non dalla premier italiana, ma la tecnocrazia europea ha sempre mostrato grande duttilità e capacità di adattamento. Tanto che viene attribuita agli uffici di Charles Michel, presidente del Consiglio europeo in cerca di rielezione, la nota di agenzia anonima in cui la premier italiana viene descritta come “piuttosto vigorosa, molto efficace, rispettata e costruttiva” durante i lavori del Consiglio.

E si potrebbe anche constatare che il protagonismo di Macron, visto in azione nel caso Zelensky, non ha riempito di gioia i vertici di Bruxelles dove, tra l’altro, si inizia a far di conto sulle prossime elezioni europee quando i rapporti di forza con i Conservatori (capitanati da Meloni)

SALVATORE CANNAVÒ