L’accordo tra Roma e Pechino, che venne siglato nel 2019 dal primo Governo Conte, sorretto da una coalizione fra Cinque Stelle e Lega, soprattutto dopo la vicenda del virus di Wuhan, all’origine del terribile triennio pandemico appena dichiarato concluso dall’OMS, viene ciclicamente rimesso in discussione
Con la promessa di ridimensionarlo, come fatto da Mario Draghi in veste di Premier Italiano, o addirittura di archiviarlo, come è stato lasciato intendere dall’attuale Presidente del Consiglio Giorgia Meloni. La quale, nel proprio precedente ruolo di leader dell’opposizione e di Fratelli d’Italia, nell’anno della stipula di quella specifica intesa ebbe parole di chiara contrarietà, adducendo come l’adesione attiva del nostro Paese alla via della seta fosse in contrasto con gli interessi industriali nazionali.
L’arrivo al Governo, a seguito delle elezioni dello scorso settembre, ha tuttavia imposto una immersione nella realpolitik pure in casa sovranista, dove del resto sull’argomento le visioni tra i leader conservatori non sono massimamente convergenti ma risultano essere viceversa condizionate in misura pesante dalle vicende e dalle strategie interne ai singoli Paesi.
Si verifica, in tal modo, che l’Ungheria di Victor Orban – artefice di alcune decisioni dalla messa al bando del grano ucraino all’accordo con la Russia sulla via del gas – potrebbe essere la destinataria di un investimento diretto estero della Repubblica popolare Cinese interessata a costruire in territorio magiaro quella che potrebbe essere la più grande fabbrica europea di batterie per auto elettriche.
Il regime di Pechino, se così fosse, vorrebbe cogliere in via principale i benefici derivanti dalla direttiva europea che introduce il divieto di vendita di vetture a motore endotermico in tutta la UE. Soprattutto, il Dragone asiatico non si accontenterebbe più di svolgere un semplice ruolo da esportatore, bensì piuttosto oserebbe valicare i confini continentali per aprire uno stabilimento in Europa in una fase storica segnata dal calo degli investimenti esteri diretti del governo di Xi nell’Unione, a seguito di un raffreddamento delle relazioni con la Germania – che si vede insidiata nel campo dell’automotive – e dei crescenti veti opposti dai Governi statali ai tentativi cinesi di acquisizione di partecipazioni rilevanti in società strategiche già esistenti.
Non sono d’altra parte un mistero le dichiarazioni messe a verbale dall’attuale Ministro dell’industria e del made in Italy, Adolfo Urso, alto dirigente del partito di Meloni, quando questi era alla guida del Copasir, il comitato parlamentare per la vigilanza sulla sicurezza della Repubblica, un pulpito nevralgico e prestigioso dal quale lanciò più volte l’allarme sui rischi di una crescente influenza dell’investitore statale cinese nelle società di telecomunicazioni o nelle compagnie di produzione di determinate categorie di beni strategici strumentali a elevato contenuto di tecnologia e funzionali alla autosufficienza delle filiere italiane.
Parimenti, l’onorevole Gilberto Pichetto Fratin,.di Forza Italia, in qualità di titolare del dicastero per l’ambiente e la sicurezza energetica, fin dal proprio insediamento ha motivato il no, personale e governativo, alla direttiva contro i motori termici ventilando i pericoli di un sempre maggiore ruolo di Pechino nello sviluppo dell’auto elettrica.
È un dato di fatto più recente, tuttavia, che Giorgia Meloni, in conferenza stampa da Praga, ha comunicato di voler prendere tempo rispetto alla decisione di sfilare l’Italia dagli accordi, personalmente avversati, sulla via della Seta, motivando tale pausa di riflessione con la necessità di ponderare attentamente l’insieme delle altre questioni internazionali correlate, compreso inevitabilmente il posizionamento della Cina nei confronti della vicenda bellica russo ucraina.
E ciò sebbene vi sarebbe stato da parte dell’attuale corso conservatore di palazzo Chigi una sorta di promessa fatta alla casa Bianca del democratico Joe Biden di stracciare l’accordo del primo governo Conte al quale contribuì anche Matteo Salvini, che quattro anni fa era già Vicepremier, ma dell’attuale leader del movimento dei pentastellati.
Dir politico Alessandro ZORGNIOTTI




