Il Senato ha messo in via definitiva i sigilli al superbonus edilizio prima maniera, quello che consentiva di fare ristrutturare la propria abitazione senza alcuna spesa monetaria effettiva grazie agli strumenti della cessione del credito fiscale e dello sconto nella fattura dell’impresa incaricata
Un meccanismo duplice, che aveva dato vita, più o meno consapevolmente, a una forma di moneta fiscale applicata a un settore a ragione giudicato trainante per la ripresa post pandemica. E così in parte è stato, sebbene a fronte di un rilevante impegno del bilancio pubblico governativo e di oltre dieci tra cambiamenti e integrazioni normative tra il 2020 e il 2022.
Al superbonus vengono addebitate alcune responsabilità, a partire da quella di avere reso superflue le contrattazioni per ottenere prezzi ragionevoli su alcune materie prime e materiali per l’edilizia, e dalla conseguente elevata spesa unitaria per abitazione che è stata sostenuta, a fronte di una bassissima percentuale di immobili residenziali ristrutturati sul totale nazionale.
Il decreto definitivamente convertito in legge dal Senato, dopo il voto favorevole della Camera al provvedimento del Governo Meloni, pone la parola fine al concetto di gratuità sostanziale dei lavori, ripristinando il normale funzionamento della detrazione come veicolo per ridurre la propria Irpef nell’arco dei successivi dieci anni a fronte della capacità economica del contribuente di provvedere ai rifacimenti domestici con risorse proprie o prese in prestito da un intermediario finanziario.
L’unica eccezione a tale reintrodotta regola generale riguarda le villette e le abitazioni unifamiliari fino al prossimo 30 settembre, a condizione però che nel 2022 sia già stato effettuato il 30 per cento della spesa programmata. Ulteriori deroghe favorevoli sono previste per infissi e caldaie, in considerazione della funzione di tali accorgimenti per l’isolamento e la sostenibilità energetica dell’unità abitativa.
Rimane però il rebus rompicapo dei crediti incagliati, una cifra globale stimata fra i 15 e i 19 miliardi e per i quali la maggioranza parlamentare e governativa punta a creare un doppio canale: l’intervento intermediario di Enel X, che avrà il compito di acquistare il credito dalle Banche che abbiano esaurito la propria capienza fiscale e di cederlo a società corporate interessate a effettuare una compensazione tributaria a ridosso del versamento di un modello F24; oppure l’opportunità di convertire il proprio credito in pancia con l’acquisto di emissioni dedicate di BTP a dieci anni.
Una prospettiva, quest’ultima, che viene giudicata positivamente anche dal mondo degli esperti contabili. Molto significativo il parere che è stato rilasciato in proposito dal dottore commercialista Christian Dominici, intervistato dal giornale on-line La Ragione: “Un credito fiscale non sarà mai un Btp, che resta un prodotto semplice da usare con una redditività sicura e periodica. Il credito tributario, invece, porta con sé problematiche di controllo, accertamenti e responsabilità in capo dal Chief financial officer e al Consiglio di amministrazione della banca. Quindi è più che normale che si voglia limitare l’uso di questo strumento, proprio per evitare di ritrovarsi con impatti troppo pesanti all’interno dei propri bilanci”.
Il dottor Dominici accende un riflettore altresì sulla situazione poco rosea della miriade di piccole imprese edili incagliate con i propri crediti: “Difficilmente vedranno la liquidazione degli stessi. Molte delle aziende che erano sorte per cogliere le opportunità del superbonus stanno chiudendo o si trovano già in fase di liquidazione”.
Una risoluzione che chiude un capitolo ma non mette la parola fine alla crisi che deriverà dall’apertura di una fase nuova e incognita in cui il governo dovrà escogitare un nuovo intervento capace di garantire la piena neutralità economica ai cittadini, proprietari e inquilini, che prima o poi si dovranno confrontare con gli effetti della direttiva UE sulle case green.
Dir politico Alessandro ZORGNIOTTI




