Per alcuni giorni Tirana è stata molto più di una capitale balcanica, è diventata un luogo di incontro per 33 Paesi che hanno scelto di sedersi allo stesso tavolo per parlare di pace, non in termini astratti ma attraverso volti, storie e responsabilità concrete
La conferenza promossa dalla Women’s Federation for World Peace (WFWP) e dalla Global Women’s Peace Network (GWPN) ha riunito rappresentanti di Europa, Medio Oriente, Africa, Americhe e Asia, con un tratto comune, riconoscere alle donne un ruolo centrale nella costruzione di percorsi di riconciliazione, sicurezza e sviluppo.
In un contesto internazionale segnato da conflitti aperti, crisi umanitarie e profonde fratture sociali, il messaggio emerso a Tirana è stato semplice e radicale allo stesso tempo, la pace non nasce solo nei palazzi della politica, ma nella capacità di creare fiducia tra persone, comunità e popoli.
E le donne, per il loro ruolo nei contesti familiari, sociali e istituzionali, sono oggi interlocutrici imprescindibili di ogni progetto di stabilità.
L’Albania ha offerto uno sfondo particolarmente significativo a questo incontro. Spesso citata come esempio di armonia interreligiosa nei Balcani, il Paese vive una quotidianità in cui moschee, chiese cattoliche, chiese ortodosse e centri bektashi condividono gli stessi quartieri, e le famiglie in cui coesistono fedi diverse non sono l’eccezione, ma la regola.
Questa realtà, radicata nella storia, è stata richiamata più volte come prova che la diversità religiosa, se accompagnata da responsabilità e visione, può trasformarsi in un fattore di stabilità e non di divisione.
Su questo sfondo si è inserito l’intervento di Tirzi Martin, autrice e senior adviser di WFWP in Francia, che nel contributo “Words Before War – Dialogue as a Path to Peace in the Middle East” ha posto l’accento su un punto cruciale per la diplomazia contemporanea, ogni conflitto inizia molto prima delle armi, nelle parole, nelle narrazioni, nei discorsi pubblici che progressivamente disumanizzano l’altro.
Se la scelta del dialogo venisse assunta seriamente fin dalle prime tensioni, ha sottolineato, molti conflitti non arriverebbero al punto di non ritorno.
Dal versante albanese, la prof.ssa Eva Cipi, attiva nella Universal Peace Federation (UPF) in Albania, ha ricordato come la pace sia prima di tutto un’esperienza che si apprende in famiglia, nel modo in cui gli adulti affrontano le paure, gestiscono i conflitti quotidiani, parlano del “diverso” ai propri figli.
La cooperazione tra comunità religiose, scuola e società civile, ha evidenziato, è essenziale per trasformare il pluralismo in una risorsa condivisa. Nel corso della conferenza è stato valorizzato anche il lavoro del team albanese, con figure come Katarzyna Minollari ed Eranda Haziraj, che da anni tessono relazioni tra dialogo religioso, educazione e iniziative di pace sul territorio, facendo di Tirana non solo una sede ospitante, ma un attore attivo.
La dimensione spirituale e quella politica si sono incontrate con forza nell’intervento di Moriko Hori, Presidente internazionale di WFWP, che ha richiamato le radici dell’organizzazione fondata da Dr. Hak Ja Han Moon insieme al marito, il reverendo Sun Myung Moon.
Al cuore della loro visione vi è l’idea che nessuna pace sia credibile se non si fonda su una cultura dell”amore responsabile” relazioni capaci di superare le frontiere etniche, nazionali e religiose, assumendo la cura dell’altro come principio politico oltre che etico.
Le testimonianze provenienti da diversi continenti hanno dato corpo a questo approccio, mostrando come progetti nati dal basso con donne impegnate in contesti di guerra, migrazione o discriminazione possano aprire spazi di dialogo che la diplomazia formale, da sola, fatica a raggiungere.
La presenza di esponenti istituzionali di alto profilo ha contribuito a collegare il livello delle esperienze concrete con quello delle decisioni politiche.
Anneli Jäätteenmäki, già Primo Ministro della Finlandia, ha ribadito quanto le reti femminili nella vita pubblica siano determinanti nel portare all’attenzione temi spesso relegati ai margini, protezione delle vittime, giustizia sociale, educazione alla pace, tutela dei diritti fondamentali.
La sua riflessione ha messo in luce un dato ormai evidente anche in ambito diplomatico, le donne non rappresentano semplicemente una “quota” da rispettare, ma un punto di vista strategico per la prevenzione dei conflitti e la qualità delle democrazie.
Tra i momenti simbolicamente più forti della conferenza ha trovato spazio la cerimonia del “Bridge of Peace”, iniziativa nata negli anni Novanta per sanare ferite storiche tra popoli, a partire dall’incontro tra donne giapponesi e coreane. Due persone, spesso provenienti da comunità segnate da odio, occupazione o violenza, si incontrano su un ponte reale e simbolico per compiere un passo di riconciliazione guidato da quattro parole, responsabilità, rispetto, pentimento, impegno.
A Tirana questo rito ha assunto un valore particolare, ha ricordato alla platea che ogni dialogo di pace autentico esige memoria e coraggio, la disponibilità a riconoscere il dolore dell’altro e a rimettere in discussione le proprie certezze.
È una lezione che riguarda da vicino anche la diplomazia, chiamata non solo a gestire interessi, ma a ricostruire fiducia.
La pluralità dei Paesi presenti ha permesso di evidenziare un altro aspetto decisivo, la cooperazione tra Stati e società civile. Dalle iniziative a sostegno delle donne sopravvissute alla violenza nei contesti di conflitto, ai programmi formativi per giovani leader, ai percorsi di mediazione comunitaria, molti progetti presentati a Tirana nascono lontano dai riflettori, ma hanno un impatto concreto sulle scelte politiche.
È in questa interazione tra governi, organizzazioni internazionali, ONG e reti femminili che si delinea una nuova forma di diplomazia, più partecipata, più sensibile alle ferite sociali, più attenta alle conseguenze umane delle decisioni geopolitiche.
La sessione conclusiva ha dato un volto personale a questo approccio. Il Global Women Peace Ambassador Award è stato conferito a Vicenta Fernandes, di Capo Verde, riconoscendo un impegno di molti anni nella costruzione della pace e nello sviluppo comunitario.
A concludere i lavori è stata Mitty Tohma, Presidente di WFWP per Europa e Medio Oriente, che ha sintetizzato lo spirito della conferenza in tre impegni essenziali, rimuovere l’ignoranza, ridurre la povertà, mettere da parte l’ego.
Un richiamo rivolto in particolare a chi esercita responsabilità politiche e diplomatiche, invitato a misurare le proprie scelte anche a partire dall’impatto sulle persone più vulnerabili.
Nel suo insieme, l’incontro di Tirana ha mostrato che è ancora possibile parlare di cessate il fuoco, riconciliazione, sicurezza condivisa e sviluppo sostenibile utilizzando un linguaggio diverso, quello della relazione, della fede che unisce, della responsabilità condivisa tra donne e uomini di Paesi molto diversi tra loro.
Le donne leader religiose, ex capi di governo, accademiche, attiviste, professioniste non sono state una presenza simbolica chiamata a “rappresentare” il genere femminile, ma interlocutrici autorevoli nella definizione di una nuova agenda di pace.
Se la diplomazia vorrà essere all’altezza delle sfide del nostro tempo, dovrà imparare a dialogare sempre di più con queste energie silenziose ma costanti, reti di donne che, nei loro Paesi, tengono insieme comunità ferite, aprono spazi di dialogo tra religioni, costruiscono fiducia là dove per anni hanno prevalso sospetto e paura. Il messaggio che da Tirana viene consegnato alla comunità internazionale è chiaro, la pace del futuro non si scriverà solo nei trattati, ma anche nelle mani di chi sa trasformare la cura in responsabilità politica.
Dott.ssa Klarida Rrapaj
Psychologist, Criminologist, Victimologist



