L’attività economica e criminale della ‘Ndrangheta in Piemonte è sempre più preoccupante e pervasiva. È quanto emerge dalle risultanze dell’indagine Factotum, condotta dalla DDA di Torino, che potrebbe sfociare in un processo per sei soggetti che, a vario titolo, sono accusati di associazione mafiosa, estorsione, tentata e consumata, ricettazione e detenzione illegale di armi. Tra loro c’è il presunto boss Francesco D’Onofrio, inquadrato come il principale punto di riferimento della ‘ndrangheta in Piemonte, ma anche un ex sindacalista della Filca-Cisl, Domenico Ceravolo, che tra le altre cose si sarebbe adoperato per «il tesseramento dei dipendenti delle imprese edili gestite da calabresi». Il caso di Ceravolo rappresenta un’eccezione nel panorama delle inchieste sulla criminalità organizzata: sebbene le mafie abbiano storicamente cercato di infiltrarsi in ambiti economici e istituzionali, i casi accertati di sindacalisti coinvolti direttamente in attività mafiose – almeno in Italia – sono rari.
Secondo quanto appurato dall’indagine dei pm torinesi, gli ‘ndranghetisti si muovevano agilmente tra Moncalieri e Carmagnola mantenendo «forme di controllo di attività economiche nel settore edile», costituendo «un solido riferimento per il procacciamento di voti» e risolvendo «contenziosi tra operatori imprenditoriali», in ragione di una «diffusa e ormai ampiamente riconosciuta capacità d’intimidazione». Dall’inchiesta è emerso inoltre che il sodalizio ha fornito sul territorio di Carmagnola protezione a imprenditori in dissidio con altri operatori economici, ottenendo in cambio somme poi veicolate agli associati. La ricostruzione degli inquirenti indica in Francesco D’Onofrio di Mileto, già coinvolto in passato nella maxi-inchiesta Minotauro, il dirigente e l’organizzatore del network ‘ndranghetista in Piemonte. Il presunto boss, secondo i magistrati, promuoveva e prendeva parte a meeting tra membri di diverse articolazioni criminali sul territorio, al fine di delineare alleanze e spartizioni di affari, dando il via libera alla commissione di delitti.
Un capitolo singolare dell’indagine riguarda la posizione di un altro indagato, l’allora sindacalista Domenico Ceravolo, sospeso dalla Filca-Cisl in seguito all’apertura dell’inchiesta. Secondo la Procura, quest’ultimo sarebbe «un partecipe del sodalizio carmagnolese, al quale è legato da diversi anni», che finì «sotto usura ad opera di alcuni appartenenti alla ‘ndrangheta» e da altri «“protetto” ed anche utilizzato quale intestatario fittizio di beni», mettendosi «a disposizione prima della cosca e poi di Francesco D’Onofrio, dirigente della ‘ndrangheta piemontese». Gli inquirenti spiegano che il tutto avvenne dopo il suo trasferimento in Piemonte dal Vibonese, quando si scoprì «la sua contiguità con appartenenti alle locali ‘ndranghetiste di quella zona». Nel fermo dell’indagine “Factotum” è presente una annotazione degli uomini della Guardia di Finanza che riconosce Ceravolo – che nel febbraio 2024 era divenuto componente della segreteria Filca Cisl Torino-Canavese – come «un sodale del gruppo criminale», tant’è che uno dei vertici del clan, Salvatore Arone, conosceva bene «la sua peculiarità operativa», come la capacità di «reclutare operai nelle fila del sindacato per cui lavorava, […] di concerto con i datori di lavoro, per poi disporre di canali relazionali tra i predetti titolari d’impresa ed il sodalizio ‘ndranghetista».



