Trump voleva la pace, ha fatto la guerra

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Nei primi cinque mesi del suo secondo mandato, Donald Trump ha ordinato 529 attacchi aerei, un numero quasi pari ai 555 effettuati dall’intera amministrazione Biden (durata quattro anni). Colpendo in Yemen, Somalia, Siria, Iraq e persino Iran, Trump ha intensificato l’uso della forza militare, pur avendo promesso di porre fine ai conflitti americani all’estero.

Secondo i dati dell’organizzazione Acled, che monitora i conflitti globali, l’esercito USA «si muove più rapidamente, colpisce più duramente e lo fa con meno vincoli». L’approccio di Trump è giustificato dallo stesso presidente con la dottrina “peace through strength” (“pace attraverso la forza”), in linea con l’eredità reaganiana. Egli sostiene che la superiorità militare consenta di prevenire le guerre o di chiuderle rapidamente.

La maggior parte dei raid si è concentrata sullo Yemen, dove l’escalation contro i ribelli Houthi ha portato a 470 attacchi da gennaio. Tuttavia, i raid non sembrano essere stati così efficaci: i ribelli hanno affondato due navi a giugno, nonostante i continui bombardamenti, che sono costati oltre un miliardo di dollari all’esercito americano.

In Somalia, Trump ha intensificato i raid contro al-Shabaab e l’ISIS locale. A marzo è stata annunciata l’uccisione di un pianificatore di attacchi dell’ISIS, in un’operazione che il presidente ha rivendicato con entusiasmo, criticando l’inazione della precedente amministrazione Biden.

Ma è l’Iran il teatro più controverso: dopo una serie di attacchi israeliani, Trump ha autorizzato bombardamenti contro tre impianti nucleari, incluso quello di Fordow, situato in una montagna fortificata. Sono state utilizzate bombe bunker buster GBU-57, ma le valutazioni sui danni effettivo sono discordanti.

In Iraq le bombe americane hanno ucciso uno dei leader globali dell’ISIS, Abu Khadijah, responsabile delle operazioni strategiche e finanziarie del gruppo. Anche in Siria Trump ha ordinato attacchi mirati, come quello che ha eliminato il comandante ISIS Rakhim Boev con un missile R9X, progettato per ridurre le vittime civili.

Nel frattempo, l’amministrazione ha iniziato a ridurre le truppe in Siria e ha riconosciuto Ahmed al-Sharaa, già leader di al-Qaeda nel paese, come nuovo presidente siriano, in rottura con la precedente politica USA.

Tuttavia, all’interno della base Maga di Trump non mancano dissensi. Figure di spicco come Tucker Carlson e Marjorie Taylor Greene criticano l’interventismo e accusano il presidente di aver tradito le promesse isolazioniste. «Abbiamo promesso: mai più guerre all’estero», ha detto Greene. Nonostante ciò, i sondaggi mostrano che l’84% degli elettori Maga sostiene i bombardamenti, segno che l’approccio muscolare continua ad avere consenso.

Secondo Clionadh Raleigh, direttrice di Acled, Trump potrebbe vedere nella superiorità aerea lo strumento per mantenere la promessa di chiudere le guerre senza impegnare truppe sul terreno.

Tuttavia, questa strategia solleva interrogativi: si tratta di un modo per evitare guerre più ampie o di una nuova forma di politica estera ad alto rischio e bassa responsabilità? Quel che è certo è che la presenza militare americana nel mondo è tutt’altro che in calo.