Un cittadino oggi vale meno di un dato: almeno il dato, per loro, genera profitto

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Viviamo nell’era in cui le nostre vite sono in mano a società private che raccolgono dati come fossero briciole sul tavolo: CRIF, SIC, Experian, Cerved e compagnia bella

Hanno numeri, algoritmi, profili, previsioni. Sanno tutto di te, dai ritardi nei pagamenti fino alla tua stabilità emotiva, e lo sanno prima ancora che tu apra bocca.

Non sei una persona: sei un punteggio, un indicatore, un “rischio”. E quando sbagli? Quando ti capita un periodo nero, un lavoro che salta, una malattia, un imprevisto? Allora vieni marchiato.

Le morosità restano appese come una condanna: 5, 7, 10 anni. Un’eternità. Un’etichetta che decide cosa puoi o non puoi fare, chi sei per il sistema, quanto vali. E nel frattempo il mondo va avanti, ma tu no: per loro resti fermo lì, inchiodato a un errore come se non fossi più recuperabile.

Lo Stato italiano? Assente. Fantasma. I politici? Parlano, promettono, fanno finta di interessarsi, poi spariscono. La politica ormai non tutela nessuno: non serve ai cittadini, serve a conservarsi.

I problemi veri non li vede, non li ascolta, non li tocca. L’Europa? Mentre racconta favole su diritti e progresso, prepara nuove strette, nuove regole, nuove restrizioni che indovina un po’? cadranno sempre sui soliti: i cittadini comuni, gli invisibili, quelli che già faticano a stare in piedi. Dal 2026 in avanti, altro che tirare la cinghia: stringeranno i rubinetti, uno dopo l’altro, lasciando l’acqua solo a chi già nuota nell’oro.

E poi ci domandiamo perché la gente è sfinita, arrabbiata, scoraggiata. Perché guarda al futuro come a un muro invece che come a una strada. Perché nessuno si sente più rappresentato. Siamo diventati file in un database, vite convertite in statistiche, decisioni prese da algoritmi che non conoscono la parola “umanità”. E più passano gli anni, più ci tolgono spazio, libertà, fiato.