Un pensiero a Praja ne giorno del suo compleanno

0
4
Nato a Mostar, la città del ponte che sembra sospeso tra cielo e destino, Dražen Dalipagić ha sempre avuto qualcosa di inevitabile nel suo modo di stare al mondo
Prima c’era il calcio, certo. Il soprannome Praja gli nasce addosso quasi per scherzo, in onore di un difensore del Velež. Ma poi arriva la palla a spicchi, e lì cambia tutto.
Non si tratta solo di talento: è un innamoramento totale, definitivo.
A diciannove anni firma col Partizan Belgrado, e da quel momento il ragazzo di Mostar diventa un’onda che travolge l’Europa. È la Jugoslavia più dorata di sempre, è il Mondiale del ’78 nelle Filippine, è l’oro olimpico di Mosca.
E tuttavia, per noi italiani, la vera magia inizia quando Praja sbarca a Venezia.
È l’inizio degli anni ’80, la Serie A sta crescendo, e in Laguna arriva un uomo che il canestro lo osserva come si guarda una vecchia amica: con confidenza, rispetto e un pizzico di nostalgia.
Con la Reyer danza sopra i parquet italiani come se il tempo avesse deciso di rallentare per lasciarlo passare. Segna da ovunque, con quella fluidità che non insegni: o ce l’hai, o la rincorri per tutta la vita senza prenderla. Quasi senza accorgersene, sale in aria e bam, bam: la mette dentro. Sempre. Ci sono stagioni da più di 30 punti di media.
Ce n’è una, nel 1982-83, in cui sfiora i 43 a partita. E senza la linea da tre. Una follia che oggi appare quasi irreale, come i racconti dei nonni che sembrano troppo belli per essere veri.
C’è poi Udine, poi di nuovo Venezia, infine Verona. Ovunque lasciava un segno: una scia di punti, applausi, e quella sensazione che davanti agli occhi stessi passando un pezzo di storia. Non era un rimbalzista feroce, né un creatore di gioco. Era qualcos’altro: era un poeta del tiro. Ogni conclusione, un verso breve e preciso.
Oggi, nel giorno del suo compleanno, il ricordo di Dalipagić torna a galla come certe immagini d’estate che affiorano senza avvisare.
Nostalgia sì, malinconia anche. Ma non tristezza. Perché Praja non ha lasciato un vuoto: ha lasciato una scia luminosa. E chi lo ha visto giocare lo sa: certi campioni non passano. Rimangono lì, appena oltre la linea del tempo, pronti a segnare ancora.