La consapevolezza di ciò che è stato Mauthausen
NOLE CANAVESE – Di nuovo una guerra, questa volta non “lontana” ma in Europa, fuori dalla nostra porta; nazionalismo, patriottismo, idealismo, o meno… gas, petrolio, denaro! I motivi – o le scuse –, validi o meno, contano poco quando ci sono morti, feriti, sfollati, sofferenze; in ogni tempo sono comunque sempre i più deboli a pagare il prezzo più alto.
Sembrerebbe che la storia, la memoria, non abbiano insegnato nulla; pure quei lunghi anni dell’ultima guerra mondiale ne hanno lasciati segni negativi: oltre le morti, vicende di mutilati, fame, carestia, sofferenze, ferite fisiche e morali nei singoli e nei popoli.
Oggi vogliamo qui brevemente raccontarvi una di queste vicende, una fra le tante, a simbolicamente rappresentarle tutte: la storia di una “pietra d’inciampo”, la storia di un uomo, Paolo Baima, deportato a Mauthausen, casacca a righe numero 58681 e miracolosamente sopravvissuto.
Il tempo in genere erode la memoria, ma non ha eroso i ricordi di quello che è stato ed ha vissuto quest’uomo, rimasti anzi lungo tutta la vita dentro di lui, anche se non ne parlava mai a moglie, figlia e nipote.
La “pietra” a lui dedicata è stata posata sabato 21 maggio sulla strada – com’è d’uso in questi casi – davanti alla casa dove abitava. Con la stessa cerimonia sono state poste in Nole altre 2 “pietre”, in memoria di altri due deportati: il cugino Pietro Baima e l’amico Carlo Noveri, purtroppo non ritornati in famiglia.
Con la lettura delle commoventi parole della nipote Stella rivolte a suo nonno ed il breve ricordo della figlia Maria Luisa – che martedì 12 aprile aveva già più compiutamente presentato agli alunni delle scuole medie la triste vicenda del padre con le stesse commoventi parole tratte da un’intervista da lui rilasciata a suo tempo – si è concluso il ricordo di una triste vicenda, immortalandone il nome sulla pietra.
Paolo Baima, dopo l’8 settembre 1943, per evitare la leva fascista, fugge in montagna a Martassina (Valli di Lanzo) insieme al cugino Pietro Baima; successivamente vengono aggregati alla XI Brigata Garibaldi. Sempre col cugino è poi catturato il 7 marzo 1944 e condotto alle Nuove, dove incontra il compaesano Carlo Noveri. Successivamente da Porta Nuova via Bergamo viene tradotto a Mauthausen, spogliato e rivestito con una casacca a strisce marchiata col numero 58681, quindi trasferito ai lavori forzati a Gusen 2, dove scava gallerie a suon di frustate.
Ferito ad una mano, viene curato bene da un medico polacco, poi va al LagerKomand di Gusen 1 per raccogliere sia morti sia patate e carote.
Viene liberato dagli americani il 5 maggio del 1945; trasferito nell’ospedale militare di Bolzano, viene curato e rifocillato, quindi in luglio arriva a Torino; prima è ricoverato a Sassi poi al San Luigi per una pleurite. Rimane per 6 mesi più altri 3 mesi in convalescenza.
I familiari di Nole scoprono grazie ad una trasmissione radio che comunicava i nomi dei prigionieri ancora in ospedale che Paolo è vivo. Questa notizia viene loro riportata dalle suore di Nole, tra i pochi a possedere una radio.
Solo nella primavera del 1946 Paolo potrà rientrare in famiglia.
Le “pietre d’inciampo”, “stolpersteine” in tedesco, sono diventate negli anni più di 80mila (anno 2020), distribuite in circa 2mila città europee (sono circa 1500 in Italia). Composte da blocchi di pietra ricoperti di ottone lucente di 10×10 cm, sono un’iniziativa, nata a Colonia nel 1992, dell’artista tedesco Gunter Demnig. Sono pietre da posare nei pressi delle abitazioni dei cittadini deportati nei campi di sterminio nazisti come memoria diffusa nel tessuto urbano, per impedire ogni forma di oblio, negazionismo e indifferenza. Sono memoria a cielo aperto perché, ricordano le parole del Talmud, “Una persona viene dimenticata solo quando è dimenticato il suo nome”.
Oggi molte sono le visite organizzate ai campi di sterminio (Chelmo, Sobibor Treblinka, Belzec, Bergen Belsen, Auschwitz-Birkenau,… ) ed ai campi di lavoro (Kislau, Mauthausen, Dachau (poi diventato di sterminio, come molti altri), Buchenwald,… ); attenzione però a non trattare le visite a questi luoghi come tappa di una vacanza, meta turistica dove fare un “selfie” – in alcuni di questi siti oggi crescono aiuole fiorite ed alberelli che potrebbero invitare allo svago – perché qui sono vissuti degli schiavi, sono morte migliaia di persone e tante sono diventate aria e polvere. Ogni visita dovrebbe essere preceduta e seguita da un percorso didattico (scuole) o da una corretta documentazione/preparazione (altri visitatori).
Fonte delle notizie: Maria Luisa Baima – Intervista a Paolo Baima di Graziella Bonansea del 23 luglio del 1982.
Per la foto della deposizione della “pietra”, con Maria Luisa Baima (pantaloni colorati), si ringrazia la signora Dana Podasca.
Franco Cortese Notizie in un click



