URSO FA TANDEM CON LE REGIONI PER IL PRESSING SU STELLANTIS: LA PRODUZIONE ANNUA PUÒ SALIRE OLTRE IL MILIONE DI AUTO

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Il ministro delle imprese e del made in Italy ha lamentato una statistica disarmante: oltre l’ottanta per cento degli incentivi dello Stato italiano, a favore della rottamazione e sostituzione di vetture preesistenti, è andato a finanziare veicoli d’importazione

Una stabile alleanza fra Stato e Regioni, ovvero fra Ministero delle Imprese e Governatori, volta ad accentuare la pressione istituzionale nei confronti di Stellantis, ex Fiat, affinché non solo siano salvaguardati gli attuali livelli industriali e lavorativi, negli stabilimenti principali così come in quelli di filiera, ma vengano create le condizioni, nel coordinamento fra piani aziendali e politiche di incentivazione nazionale e regionali, per raddoppiare, se non triplicare, l’attuale e troppo basso numero annuo di veicoli finali realizzati in Italia.

Il Ministro Adolfo Urso, presso la sede del dicastero di Via Veneto a Roma, ha infatti convocato i Presidenti e i rappresentanti delle Regioni dove hanno sede le fabbriche e le unità produttive del gruppo automobilistico erede della Fiat di Agnelli, dal Piemonte alla Basilicata passando per Abruzzo e Lazio. L’obiettivo è quello di creare una sede di confronto permanente per annodare un dialogo politico forte con i vertici di una società oramai multinazionale e basata legalmente in Francia, ma in ogni caso e ancora adesso vista come derivazione di un modello del tipo “one company country”, ossia l’unica compagnia del Paese nel proprio ambito manifatturiero, che lo stesso esponente del Governo Meloni, del resto in accordo con la Premier, sembra intenzionato a superare per addivenire alla creazione di un sistema di tipo policentrico dal punto di vista della presenza di più di una casa produttrice di quattro ruote.

Insomma, sembrano essere ormai malinconicamente lontani i tempi in cui i vertici storici di corso Marconi e del Lingotto di Torino dicevano, con l’avallo esplicito o tacito della politica di allora, che tutto quanto andava bene per la Fiat andava altrettanto bene per l’Italia.

Sta forse nella scorta di questo assunto il motivo per cui, anche dopo le scelte più recenti che hanno condotto alla progressiva riduzione dei volumi prodotti e alla crescente decentralizzazione all’estero delle sedi decisionali (e fiscali), è rimasto da noi un qualche reverenziale timore sulla possibilità che il nostro Paese potesse ospitare un produttore automobilistico diverso da quello (fu) torinese.

Un tabù psicologico che oggi non ha più ragione di esistere, a maggior ragione se si guarda alla realtà dei numeri e alla situazione del resto dell’Unione Europea, dove appare chiara e certificata la netta perdita di posizioni dell’Italia nei confronti delle Nazioni sia mature, come Francia, Spagna e Germania, sia emergenti, come Slovacchia, Repubblica Ceca e Romania.

Nella classifica relativa alle vetture uscite ex novo dalle officine di ciascun territorio nazionale nel 2022, siamo infatti titolari di un ottavo magro posto, insidiati dall’Ungheria che sta per eguagliarci, con meno di mezzo milione di veicoli; e appare di scarsa consolazione la circostanza che possiamo risalire al settimo solo perché il Regno Unito formalmente non è più nella UE.

Come è stato di nuovo sottolineato dall’onorevole Urso nel corso di una dichiarazione di aggiornamento sul tema, sono le stesse fonti sindacali a mettere in risalto la produttività potenziale massima in possesso degli impianti attualmente in funzione in territorio Italiano, dai quali possono derivare ogni anno nuove vetture per un totale che addirittura supererebbe il milione e mezzo.

Perciò occorre garantire, in maniera reciproca, un dialogo continuativo con Stellantis che conduca, prima della fine dell’estate, a un accordo di transizione che ci rimetta al pari degli altri Paesi mediterranei che costituiscono altrettante destinazioni di ulteriori o maggiori stabilimenti, come sta avvenendo in Marocco o in Algeria.

Contemporaneamente, è la conclusione del nostro Ministro per le politiche industriali, occorre guardare ad altre compagnie, anche di casa madre estera, che siano interessate a investimenti strategici nel nostro Paese per la produzione finale di auto in grado di farci svolgere un ruolo protagonista nell’evoluzione ecologica e digitale della mobilità individuale e sociale, e di massimizzare le capacità di lavoro del vasto segmento dell’indotto e della subfornitura automotive ai vari livelli di distretto e filiera.

In grado, in definitiva, di farci tendere a un “more companies country”.

Dir politico Alessandro ZORGNIOTTI