Verdone e gli appelli dei vanitosi

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Potrebbe essere un nuovo episodio di “Bianco, Rosso e Verdone” (ma anche di “Un sacco bello”). Protagonista un celebre regista che se ne sta a casa in santa pace, al riparo dall’afa agostana, quando viene raggiunto telefonicamente da una voce amica (“ma figurati, tu non mi disturbi affatto”) che gli propone di aggiungere la sua firma a un appello in favore di una sacrosanta causa umanitaria. “Ovvio, certamente, ci mancherebbe altro, sono con voi, ti ringrazio di aver pensato a me”, risponde lo sventurato. Egli infatti ignora che il testo sarà successivamente “aggiornato”, con la richiesta di impedire la presenza di due attori in una importante mostra cinematografica. Quando apprende di avere sottoscritto, senza saperlo, una inaccettabile censura ai danni di colleghi che lavorano nel cinema, il grande regista rettifica, spiega, protesta, fa appello alla sua perfetta buona fede, ma ormai la frittata è fatta.

Dal che, come ci ha raccontato dal vero Carlo Verdone, potremmo trarre qualche utile suggerimento in merito alle insidie nascoste nelle più nobili raccolte di firme. Esse, mosse (quasi) sempre dalle migliori intenzioni e dagli impulsi più generosi, al cospetto di immani tragedie (la pulizia etnica a Gaza del governo israeliano), onde evitare spiacevoli equivoci andrebbero condivise nelle finalità fino dalla origine.

Poiché una volta che il testo è diventato pubblico chiunque si trovi davanti alla richiesta di condividerlo, magari aggiungendosi ad altre migliaia di adesioni, difficilmente potrà dire: mi dispiace io non ci sto. Un rifiuto, anche il più legittimo e motivato, resterà pur sempre un rifiuto, interpretabile da chi ci vuole bene come una piccola viltà e da chi ci vuole male come una indiretta complicità con i peggiori crimini internazionali. Difficile poi non considerare che anche la più stimabile tra le voci amiche spesso giunge a noi come l’ultima goccia di una fragorosa ondata di indignazione. Nella quale può nascondersi di tutto: anche, e troppo spesso, gli eroi di una presunta rivoluzione morale, ipocrita e vanitosa.

Ma allora, si dirà, noi cosiddetta opinione pubblica per il timore di eventuali manipolazioni dovremmo rinunciare a far sentire la nostra voce davanti a una catastrofe del diritto e dell’umanità? Certo che no. Al contrario, ogni mobilitazione sarà cosa buona e giusta purché si ponga come finalità, non l’esibizione vanagloriosa di una qualche “forza del bene” bensì un risultato concreto che possa avere un peso nei fatti e non soltanto nelle parole. Per esempio, la richiesta al governo Meloni di cancellare non solo ogni futura fornitura di armi a Israele (cosa che sarebbe già stata decisa), ma anche di interrompere i flussi già programmati e i finanziamenti connessi. Il “Fatto” ci informa che, per la prima volta, a Palazzo Chigi si è ipotizzato di sanzionare gli esponenti del governo israeliano e di ammorbidire la posizione in Europa sul programma Horizon, che prevede fondi per le start-up di Tel Aviv

Sarebbe già un progresso anche se sulle forniture di armi a Netanyahu, e pure a Kiev, pesano le clausole di “segretezza” previste dalla legge 185/1990. Perché allora non promuovere in Parlamento e nelle piazze una petizione per chiedere su materie davvero così esplosive la maggiore trasparenza possibile? Io firmerei subito. E sono sicuro che lo farebbe anche Carlo Verdone.

Antonio Padellaro