Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia, è tornato sul tema, a lui caro, delle azioni di contrasto al rincaro generale dei prezzi; e sulla necessità di prevenire il ricorso a facili scorciatoie tali da ricalcare il modello della scala mobile che caratterizzò la politica consociativa del nostro Paese negli anni Settanta, e nella prima parte degli Ottanta, a seguito dell’accordo tra Lama e Agnelli, ossia tra CGIL e Confindustria dell’epoca
Il vertice di Via Nazionale, che nelle settimane più recenti ha esortato la omologa di Francoforte Christine Lagarde a una maggiore prudenza nel comunicare le scelte di politica monetaria della BCE, ha ribadito le sostanziali differenze che esistono tra il sistema del caro listini che vige negli USA e quello che permane in Europa, poiché in quest’ultimo caso le ragioni affondano sugli shock cosiddetti esogeni, connessi cioè alla dipendenza dai fornitori esterni di idrocarburi, fonti fossili e materie prime per l’agricoltura.
Per tale motivo, il numero uno di palazzo Koch ha più volte invitato il gruppo dirigente della Eurotower a tarare e modulare in maniera più ponderata gli interventi volti a incidere sulla quantità di moneta circolante nella zona dell’Euro. La ragione è molto semplice, poiché un eccessivo allineamento alle determinazioni della Federal reserve di Washington potrebbe danneggiare i piani di investimento e di ripresa delle piccole e medie imprese dalle quali dipende, sempre secondo Visco, la sola via maestra atta a conseguire aumenti salariali in grado di non scatenare inflazione aggiuntiva, vale a dire quelli ancorati alla produttività e al rafforzamento delle qualifiche professionali.
In tale direzione, le scelte della Banca centrale europea devono presidiare il tasso di inflazione tendenziale, garantendo tuttavia i margini occorrenti ai programmi di continuità aziendale delle PMI.
Questo non significa, tuttavia, che le aziende e le categorie sociali e lavorative più vulnerabili debbano essere abbandonate in balìa della fluttuazioni di un carovita che, per quanto tornato in fase calante, si assesterà al ribasso in maniera strutturale tra la seconda parte del 2023 e la prima metà del prossimo anno: sarà compito delle autorità di politica economica e fiscale utilizzare gli spazi di manovra, accordati in sede europea grazie al nuovo regime degli aiuti di Stato e alla prosecuzione del quadro sospensivo del patto di stabilità, per definire strumenti di aiuto a carattere mirato, temporaneo e speciale per sostenere e accompagnare i redditi più bassi e le attività di lavoro autonomo e dipendente a più alto rischio di marginalità e di espulsione dal mercato.
Paesi come l’Italia, in effetti, lungo tutto il corso del 2023 potranno continuare a beneficiare dello scudo anti spread di Francoforte, evitando che uno stock eccessivo di titoli sovrani si ritrovi sul mercato senza alcun paracadute, e la permanenza di un molto basso valore dello spread – il famoso differenziale tra Bund tedeschi e BTP nostrani – dovrebbe consentire al governo Meloni di varare in primavera misure integrative e continuative, peraltro già annunciate dal ministro del MEF Giancarlo Giorgetti, per la tutela delle fasce reddituali maggiormente esposte ai colpi di coda del caro tariffe e del caro prezzi.
Dir politico Alessandro ZORGNIOTTI




