WASHINGTON E TOKYO, I DUE EPICENTRI DEL NUOVO 2007

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Le banche centrali occidentali, da possibile soluzione alle tensioni globali dei mercati finanziari, rischiano di tramutarsi in un problema endemico, a conferma di come le lentezze decisionali della BCE di Francoforte non siano meramente una vicenda isolata

In principio fu la BCE, la banca centrale europea: finita nel mirino dei politici dei singoli Stati membri e dei banchieri commerciali di secondo livello per le reticenze in tema di tassi d’interesse, a questa istituzione viene addebitato il peccato originale della configurazione stessa della UE, eccessivamente tecnocratica e poco o per nulla incline al sentimento della pubblica opinione che chiede interventi contro il rincaro del costo del denaro e dei prezzi al consumo.

Partiamo da due antefatti: negli Stati Uniti d’America la Federal reserve, in sigla Fed, sta tardando a ridurre i tassi di riferimento poiché parte dal paradigma che l’inflazione sia il portato di un mercato del lavoro dinamico e quindi tendenzialmente inflazionistico. I bollettini più aggiornati, che indicano un aumento netto della popolazione dei senza lavoro, tendono però a smentire una tale tesi, evidenziando al contrario un clima di crescente sofferenza dei redditi fissi e dei ceti intermedi.

Allo stesso tempo, e strettamente interconnesso, il Giappone registra i più alti tassi di riferimento mai registrati storicamente in un Paese famoso per i tassi di sconto negativi della Bank of Japan e per l’alto livello di debito pubblico acquistato sul mercato primario dallo stesso istituto centrale di emissione di Tokyo.

Va infatti precisato che gli investitori intermedi nipponici, grazie ai bassi tassi di interesse e a uno yen svalutato, si auto-finanziavano senza oneri addizionali per l’acquisto di azioni e di titoli a rischio medio e medio alto sul mercato americano e statunitense. Adesso questo scenario è diventato non più praticabile, con la conseguenza che lo yen si è rafforzato e impone l’acquisto di valuta aggiuntiva per coprire le precedenti operazioni giocate allo scoperto.

Inoltre una valuta giapponese più forte rende più problematiche le esportazioni di componenti e beni intermedi tecnologici nei confronti degli Stati Uniti d’America, complicando la continuità delle catene di approvvigionamento in settori strategici per l’economia a stelle e strisce come quello connesso alla produzione di automobili.

Che un simile contesto macro preluda a un revival del 2007, saranno i prossimi giorni e settimane a rivelarlo: sta di fatto che le tensioni ormai estese a tutto il Medio oriente, così come il protrarsi del conflitto russo ucraino senza volontà alcuna di tregua da parte di Washington e di Bruxelles, stanno determinando interruzioni a catena nella filiera degli approvvigionamenti globali e un conseguente maggiore costo dei beni intermedi e dei fattori produttivi.

Dir politico Alessandro Zorgniotti