Zelensky, dall’Urss al camaleonte

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L’invasione russa dell’Ucraina, il 24 febbraio 2022, è uno spartiacque storico. Segna la fine della Grande Illusione, quella per cui Qualcuno avrebbe stabilito che la peste della guerra non potesse più colpire l’Europa.

Due anni e mezzo dopo, siamo ancora alle prese con le conseguenze della scelta di Putin, una scelta di cui forse, in cuor suo, lo stesso presidente russo si pente. Come tutte le grandi svolte della storia, anche questa non sarà storicizzata rapidamente. Lo sarà anzi meno e più lentamente di altre, anche fra molti decenni, perché nell’èra di Internet e dell’Intelligenza artificiale la realtà può essere manipolata più e più volte, da tutte le parti in causa, oggi, domani e dopodomani. Non vorremmo essere al posto di quegli studiosi del XXII secolo che tenteranno, con acribìa e passione, discernere il grano dal loglio, il dato vero da quello falso.

Mai come oggi risuona il monito di Churchill per cui in guerra la verità deve essere accompagnata da una scorta di bugie. Scorta abbastanza pletorica, nel caso ucraino. Dobbiamo aggiungere che mai come in questo conflitto i mezzi di comunicazione sono stati spesso usati non per informare, per aiutare a capire, ma per diffondere “verità” utili a questa o a quella parte. Dunque falsità. Se questo fosse limitato ai Paesi in guerra, sarebbe comprensibile

. Ma anche nelle società non direttamente coinvolte, almeno dal punto di vista degli “stivali sul terreno”, Italia compresa, abbiamo dovuto constatare simile tendenza. In varie forme, di cui la più diffusa è l’autocensura, o semplicemente il rifiuto di vedere il quadro d’insieme, mettendo a confronto i diversi punti di vista. Non rendendo così un servizio ai resistenti ucraini, anzi convincendoli che la nostra propaganda non fosse tale, e che l’impegno americano e occidentale di aiutarli a respingere l’aggressione russa sarebbe durato “fino a quando necessario”. Refrain abbastanza ipocrita di questa spaventosa guerra di attrito, di cui Kiev paga il prezzo più alto.

L’autore indaga la biografia di Zelensky a partire dall’ambiente della famiglia di origine, tipicamente sovietico, fino all’invasione russa, che ne ha fatto una figura leggendaria grazie alla coraggiosa decisione di restare al suo posto di comando mentre i russi puntavano sulla Capitale. Anche contro i consigli americani e britannici, pronti a evacuarlo a Leopoli o in Polonia, in modo da poter contare su un referente legittimo anche dopo la marcia russa su Kiev, destinata a compiersi trionfalmente nel giro di pochi giorni o settimane. Senza scavare indietro nel tempo, nulla capiamo della scelta di Zelensky e soprattutto del mito positivo (o negativo, non solo in campo russo) di questo talentuoso ex comico che lo stesso Putin ricorda sarcasticamente di avere apprezzato diversi anni fa nelle performance attoriali, oggi virato in leader politico di fama universale.

Scaglione inquadra Zelensky nel contesto storico dell’Ucraina prebellica, indipendente ma non troppo, condizionata dal vicino russo e sostenuta dagli occidentali, angloamericani in testa, che ne volevano fare il primo bastione del nuovo vallo di contenimento dell’imperialismo moscovita. Fino alla tragedia in corso, che ha riportato la patria di Zelensky alla totale dipendenza da potenze altre. Stavolta dagli aiuti occidentali, allungando l’ombra della catastrofe bellica su un paese che dal 1991 a oggi ha perso metà dei suoi abitanti (da 51 a circa 25 milioni), molti dei quali in una diaspora da cui difficilmente torneranno.

Lucio Caracciolo