25 dicembre 1991: trent’anni fa la fine dell’Unione Sovietica

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Lo stendardo rosso sovietico fu abbassato dal Cremlino per l’ultima volta e sostituito con la bandiera tricolore russa. Il giorno seguente, la Camera alta del Soviet Supremo riconobbe l’autonomia di governo delle ex Repubbliche sovietiche, sciogliendo formalmente l’Unione. Gorbaciov si dimise e consegnò i suoi poteri presidenziali, compreso il controllo dei codici di lancio nucleare, a Eltsin, che fu presidente della Federazione russa sino al 1999.
La “perestrojka”, lanciata da Mikhail Gorbaciov nel 1985 – il programma di riforma volto a liberare l’economia all’interno del regime comunista-, e la “glasnost” (apertura di archivi storici, pubblicazione di libri sino ad allora vietati, diminuzione della censura) – avevano rivitalizzato il ruolo dell’URSS a livello mondiale e ne avevano in qualche modo bloccato il declino. A ciò si contrapponevano i danni provocati da decenni di corsa agli armamenti e cattiva gestione e l’economia, mostrava drastici segni di usura. Inoltre, l’unità delle 15 Repubbliche sovietiche, di cui si faceva forte la propaganda comunista, si stava sciogliendo come neve al sole. La regione del Caucaso si ribellò a Mosca, seguirono poi i Paesi baltici e la Lituania dichiarò la propria indipendenza. Una minaccia troppo grande per l’URSS tanto che nel gennaio 1991, Mosca intervenne con la forza, sparando sui manifestanti.
Il tentativo di domare l’insurrezione fallì e la Lituania divenne la prima Repubblica a staccarsi ufficialmente dall’URSS e ripristinare l’indipendenza. Il il 19 agosto 1991 arriva il colpo si Stato: il popolo sovietico si sveglia con la tv che trasmetteva “Il lago dei cigni” dal teatro Bolshoi, prologo dell’annuncio in cui si dichiara che Gorbaciov non è in grado di governare per motivi di salute. Nasce così il “comitato di Stato”, creato per salvare il Paese da “caos e anarchia”, almeno secondo i proclami. Intanto colonne di carri armati entrano a Mosca, le riunioni pubbliche vengono vietate e i giornali pro-riforma chiusi.
La capitale passa, così, dai cambiamenti di Gorbaciov, che avevano portato ad una vera effervescenza politica, ad una vera occupazione. Il colpo di Stato si esaurisce però in soli due giorni ma si ritiene che abbia aperto la strada ad eventi che avrebbero posto fine all’esistenza dell’Unione Sovietica. Boris Eltsin, eletto nel giugno 1991 presidente della Federazione Russa, riesce a dissuadere i conservatori dal gesto sconsiderato, con la conseguenza diretta che la sua influenza politica cresce enormemente. Tuttavia la crisi russa si amplifica ulteriormente per via dell’unità ormai incrinata che tiene in piedi il paese e che da lì a poco si sarebbe risolta in una frattura interna, e che porterà alla costituzione di numerosi stati satellite. –