Ci sono romanzi che finiscono lì, con la parola fine, ed altri che lasciano qualcosa di più: un insegnamento, una morale, una scala di valori… e non c’è bisogno di grandi firme perché vengano apprezzati giacché l’equilibrio descrittivo e letterario, la profondità di pensiero dell’autore, la semplicità del linguaggio, sono immediatamente percepibili e compresi, fondamentalmente a noi vicini.
Con “Pietro del Monferrato: tra storia d’amore e romanzo”, ambientato a Montaldo (oggi Montaldo Scarambi, in provincia di Asti) verso la fine del XIII sec. ma con richiami e riferimenti fin quasi ai nostri giorni, attraverso assalti al castello, fughe dai prepotenti, feste e nozze finali – senza dimenticare il Palio – Domenico Bocchio ha scritto un libro del secondo tipo, compiendo un gran lavoro di ricerca per omaggiare la sua terra, il Monferrato: “…quel suolo che tanti calpestano senza sapere perché quel suolo si chiama così…”.
Lo ha fatto con una narrazione che ha per attore principale un personaggio, Pietro, che percorre tra storia e leggenda quei territori, con marchesi e le loro guerre, uomini di fede e damigelle, in avvenimenti che si svolgono tra il popolo, con vicende talmente credibili e verosimilirre ed uomini di fede in vicende che si svolgono tra il popolo, frutto di un lungo lavoro di ricerca con vicende recredibilecredibilida sembrar vere.
Pietro non è un nobile, un grande guerriero o un eroe; Pietro del Monferrato è un semplice contadino coinvolto suo malgrado in vicende più grandi di lui (una guerra tra marchesi, la fuga di una nobile damigella da un padre tiranno e dispotico, la corsa del Palio…), da cui però non si lascerà soverchiare. Questo perché “il nostro, molto comune, eroe popolano, uomo di ogni giorno” resta fedele ai suoi valori: la radicata fede cristiana, la semplicità, la giustizia, l’onestà e la sincerità di bocca e di cuore ed i buoni sentimenti e comportamenti, con i quali riuscirà ad affermarsi da vincente nella dura vita dell’epoca, senza ricorrere all’inganno, alla frode, al furto, al tradimento.
Sembra quasi che Bocchio voglia suggerirci una società più giusta fondata su quei valori che sono più a misura d’uomo, valori validi in ogni epoca e luogo, quale monito ad abbandonare la scala oggi utilizzata e dai più promossa.
Accanto a tutto questo – che è sostanza del romanzo – Domenico Bocchio ha saputo contornare e descrivere, ricreare e far rivivere personaggi, atmosfere e ambienti di un tempo passato che affascinano sempre il lettore curioso e disponibile, in un mix organico ed armonico dal sapore mentale e sentimentale soddisfacente e gradevole.
Durante la lettura si è creata in noi un’atmosfera da film: sembrava quasi di vedere – come su uno schermo televisivo o cinematografico – Pietro, la nobile Mirella, Donna Grazia, il Marchese di Incisa, il cugino Osvaldo… muoversi, agire, parlare, e persino di percepire e sentire nelle ossa il freddo di quel 15 dicembre quando si concludono felicemente col matrimonio le avventure monferrine del protagonista.
Insomma, un bel romanzo da leggere accanto al fuoco, una sera dopo cena, non solo perché “…il passato non sfugga nell’indifferenza e nell’ignoto…” ma anche in quanto “…il vecchio non è marciume ma monito, esperienza, per tutti….” per concludere con due delle sue piccole perle di saggezza.
Franco Cortese Notizie in un click



