Impressiona l’addensarsi di stormi di Corvi su Giuseppe Conte. Non è una novità.
Ultimo episodio: per una settimana si è accreditata la narrazione di una clandestina liaison con Salvini nelle ore concitate dei negoziati per il Colle. Poi si è chiarito che le cose non stavano così, che sulla candidatura Belloni c’era l’avallo del Pd. Oppure basti tornare con la memoria all’assedio politico-mediatico che ha preceduto e accompagnato la crisi del Conte-2. Chi negava la palmare evidenza di quella corrosiva campagna ricorreva a un esorcistico espediente dialettico: non si indulga al complottismo, al vittimismo, alla fantapolitica, si eccepiva. Troppo facile.
Puntualmente si è scatenata la legione di giornalisti specializzati nella trafelata crociata contro il leader del Movimento. Un nuovo ramo istituzionalizzato nelle redazioni al modo dei quirinalisti, dei vaticanisti, dei cronisti sportivi. “Anticontiani” in servizio permanente. Non intendo minimizzare, semmai il contrario. Fosse solo quello della sentenza napoletana il problema del M5S… Mi spiego: problemi esistono, ma vanno identificati con precisione. Non è Conte il problema. Egli semmai potrebbe rappresentare un contributo alla soluzione. Altri non se ne vedono. Forse questo spiega l’accanimento:
la consapevolezza che bersagliando lui la missione improba a lui affidata di scongiurare la dissoluzione del movimento si farebbe impossibile. La verità è che vengono al pettine i tre problemi che il M5S si porta dietro sin dalla sua nascita: il suo irrisolto profilo identitario, la democrazia interna, la dilettantesca selezione del gruppo dirigente, a cominciare dal carattere… casual dei gruppi parlamentari. Non a caso per un terzo migrati altrove e per il resto balcanizzati. Proprio la consapevolezza della portata dei problemi dovrebbe semmai suggerire comprensione per l’impresa accollata a Conte. Chi se non lui potrebbe provare a condurre il movimento dagli ardori giovanili alla maturità? Per usare le parole di Grillo che, in verità, non da oggi, non ha dato mostra di agevolarne l’immane compito.
All’esercito dei detrattori non dovrebbero sfuggire due elementi: a) pur con tutti i suddetti limiti, il M5S ha avuto il merito di parlamentarizzare un sentimento che avrebbe potuto prendere una piega più inquietante e, con il tempo, è maturato quale forza di governo; b) a conferire un segno positivo al bilancio del governo Conte-2, a riscattarne qualche limite, bastano e avanzano i suoi due principali risultati: la gestione del devastante, primo impatto della pandemia e l’acquisizione tutt’altro che scontata del Recovery Plan da parte della Ue. Sbaglierebbe il Pd, dentro il quale alberga una cospicua componente ostile al M5S, a non scommettere su Conte. Sia perché non sarà il “punto di riferimento dei progressisti”, ma di sicuro, dentro il M5S, egli è la figura più strutturata e culturalmente affine. Sia perché, senza quella partnership, la partita con le destre sarebbe pregiudicata. Il “campo largo” si farebbe semmai ristretto.
Sia perché l’anima di verità delle istanze che procurarono al M5S un consenso straordinario sono tutt’altro che desuete. Di più: sono precisamente quelle che ancora largamente difettano al Pd non a torto percepito come partito ministeriale e dell’establishment. Istanze di partecipazione, legalità, sensibilità sociale e ambientale.
FRANCO MONACO


