Parlare di investimenti significa parlare di futuro, significa programmare la destinazione delle risorse per quelle che sono le priorità di un Paese.
Sono i numeri a dircelo.
Partiamo dalla salute. In tre anni, tra il 2019 e il 2021 gli ospedali pubblici hanno perso oltre 8 mila medici. È una emorragia da dimissioni volontarie che solo in minima parte include i contratti giunti a scadenza. La pandemia ha portato alla fuga di circa il 60% del personale medico, che si è ricollocato nelle strutture private oppure si è dedicato alle attività private e a quelle di medicina generale. Stress, esposizione a rischi, turni massacranti, chiusure di reparti e dunque minore possibilità di carriera, penuria di mezzi e di uomini, trauma emotivo da pandemia. Sono cause concomitanti che hanno determinato un preoccupante fenomeno di migrazione già in atto prima del COVID a causa della compromessa condizione del SSN.
I dati arrivano da una indagine di Anaao Assomed e sono impietosi per tutte le regioni, su tutto il territorio nazionale.
Inoltre in tre anni sono andati in pensione 12.645 medici. La fuga dal pubblico non si è arrestata con la fine dello stato di emergenza, anzi rischia di peggiorare vista la difficile situazione delle lunghissime liste di attesa da smaltire. È dovere dello Stato far fronte alle carenze del SSN, non può essere demandato ai medici, così come a tutto il personale sanitario, l’onere di sopperire a falle strutturali. Per questo dal primo giorno di legislatura ci battiamo per riportare la sanità al centro dell’agenda politica.
Lo stesso discorso si può fare per la scuola, l’università e la ricerca. L’Italia spende in istruzione il 15% in meno della media delle grandi economie europee. Anche rispetto al Pil, quella italiana è la spesa più contenuta: il 4% raggiunto con i governi di Giuseppe Conte faceva ancora i conti con una media Ue del 4,7%, ma purtroppo le previsioni del governo per il prossimo triennio vedono una riduzione degli investimenti sulla scuola rispetto al Pil addirittura al 3,4%. Un quadro difficile da accettare, soprattutto dopo il sacrificio che l’intera comunità scolastica italiana ha fatto nel periodo della pandemia. E reso se possibile ancora più allarme dai dati diffusi ieri dal rapporto Bes 2021 ‘Il benessere equo e sostenibile in Italia’ diffuso dall’Istat, che segnalano che il nostro Paese ha il primato per il numero di giovani tra 15 e 29 anni che non sono più inseriti in un percorso scolastico o formativo e neppure impegnati in un’attività lavorativa. I famosi Neet, Not in Employment, Education or Training.
Ed allora: come si può pensare di dare priorità ad altri settori se prima non si investe nelle reali esigenze del Paese?
Rendiamo strutturali gli investimenti in salute, in istruzione, università e ricerca. Tutto il resto viene dopo
Maria Domenica Castellone



