Enrico Berlinguer, pacifista convinto: l’etica il suo faro guida

0
25
berlinguer

Fu, certamente se non il più grande, il più amato segretario del più grande partito comunista occidentale.

A 100 anni dalla nascita non occorre forse ricordare chi era, che cosa ha fatto ma bensì che cosa resta dell’azione politica, delle idee, della spinta progressista di quello che Venditti definiva dolce Enrico o che, leggero, veniva preso in braccio da Roberto Benigni.

C’è chi, in questi giorni, definisce Berlinguer un “giacimento etico”. In una fase politica in cui l’etica stenta ad andare d’accordo con la politica, quella questione morale che pose in modo forte durante la sua segreteria, e qualcosa che resta. Erano gli anni ’80. In piena epoca craxiana. Da una parte la sinistra comunista che difendeva lavoratori, salariati e pensionati, insomma, le fasce più deboli della società. Dall’altra il Psi che puntava, proprio con Craxi, sulle professioni emergenti, i piccoli imprenditori, i giovani rampanti. Due mondi che non riuscivano più a comunicare

. E a far da spartiacque, anche con una parte della dc, c’era proprio la questione morale. Leader comunista di una prima repubblica archiviata in ogni caso troppo in fretta senza separare il grano dal loglio. Le ultime battaglie politiche lo portarono ancora una volta in giro per il paese. Invitava i militanti a fare altrettanto, casa per casa, quartiere per quartiere, per difendere i lavoratori da quella scala mobile tagliata da Craxi a loro scapito.

Ma spronava i militanti contro la volontà atlantica di portare i missili Pershwing e Cruise a Comiso, in risposta agli ss20 sovietici piazzati a due passi dai confini europei. Il proliferare di armi nucleari anche in Italia, sebbene sulla spinta di quelle piazzate dai sovietici, non era una scelta utile e previdente.

E Berlinguer poteva affermarlo senza essere più accusato di essere filosovietico perché nel 1976 al congresso del Pcus compì quello strappo che gli fece guadagnare, contemporaneamente, la copertina di time e l’odio dell’ortodossia sovietica per avere pronunciato parole come democrazia e pluralismo in un luogo in cui erano state messe fuori dal vocabolario politico.