Calenda, lo “statista dei Parioli”, da quando ha perso il ministero dello Sviluppo economico nel 2018, sembra impazzito. La perdita di potere l’ha traumatizzato. S’è tatuato, si è inventato un nome “fascio” per la sua compagine, “Azione”, si affaccia da un balconcino del quartiere per arringare una immaginaria folla fatta dal giornalaio e dal lattaio. Ora che la caduta del governo Draghi ha accelerato i tempi non sa più cosa inventarsi per apparire.
Un corpo deturpato, spinto ai limiti di una flaccida fisicità utilizzata a fini politici, manco fossimo in un film di Cronenberg. Da un lato c’è sempre la tentazione del Pd, poi c’è il rapporto di odio – amore con Matteo Renzi, poi c’è il sogno “liberal” coi radicali, poi ogni tanto torna “komunista” quando, lasciati i Parioli e le sue delicate coccole fatte di bar e tramezzini dai prezzi stellari, deve andare da quel popolo di “brutti, sporchi e cattivi” che popola le borgate pasoliniane di Roma, Tor Bella Monica Spinaceto, Corviale, l’Idroscalo di Ostia Ponente. Forse un omaggio al realismo cinematografico del nonno regista Luigi Comencini che di quelle borgate aveva fatto un ben altro impegno culturale. Sta di fatto che il nipote è di altra pasta. Lui vuole il potere e basta.
L’ultima è che “va da solo”, come ha detto sdegnosamente a Letta Nipote e Renzi, che hanno la responsabilità morale di avergli dato una opportunità. Infatti fu per tanti anni portaborse del fantomatico partito di Luca Cordero di Montezemolo, Italia futura. Alla fine il colpaccio ministeriale dovuto a Letta e Renzi che ora ripaga con insulti e sussiego. Insomma Carletto è un caso di studio e qualche volta oscura –per un attimo- pure Gigino ‘a cartelletta nella sua pervicace ricerca di potere.
Giuseppe Vatinno



