L’elmo di Scipio: il ritorno in scioltezza della naja?

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Ogni generazione europea si illude, prima o poi, che la guerra sia un capitolo morto e sepolto della storia

Che la difesa sia un affare da professionisti, da delegare a eserciti specializzati, a trattati multilaterali, a budget da approvare in commissione. Ma la realtà, ciclica e ostinata, ci riporta sempre allo stesso bivio: chi è disposto a difendere cosa? Ma a quale prezzo?

Nel 2025, l’Europa torna a misurarsi con il suo nodo gordiano. Lo fa rilanciando piani di riarmo ambiziosi, investendo miliardi nella difesa — sotto l’egida del programma Readiness 2030 — ma anche, e non meno significativamente, riaprendo il dibattito sul ritorno della leva obbligatoria.

A occhio, sarà difficile dare corpo — in tutti i sensi — al piano monstre della UE senza mettere in conto, oltre a droni e blindati, anche carne viva: nuovi corpi, cittadini freschi, e una generazione da rimettere in riga.

La notizia è di questi giorni: la Croazia, che aveva abbandonato la coscrizione prima di entrare nell’Unione nel 2008, ha deciso di riattivarla dal 2026. Diciottomila giovani, due mesi di addestramento, 1.100 euro al mese, e la possibilità di convertire l’esperienza in crediti universitari o vantaggi nei concorsi pubblici. Un’offerta che, in tempi di inflazione e disoccupazione giovanile, suona quasi come un Erasmus in mimetica. Ma dietro l’incentivo, c’è la ciccia: formare cittadini pronti a difendere, a resistere, a servire. Dio, patria e famiglia verrebbe da dire — se il tutto non fosse maledettamente più serio.

In Germania, il dibattito è aperto proprio in queste settimane calde. Oltre ai riservisti, si parla di riaprire le chiamate su base volontaria. E se non bastasse, si ipotizza una quota obbligatoria. Il cancelliere Merz propende per il sorteggio: una soluzione che, a prima vista, profuma di equità. Ma a ben vedere, è poco più che una roulette russa (fuor di metafora). Manco fossimo in pieno Apocalypse Now. Si stabilisce chi deve imbracciare il fucile con lo stesso criterio con cui si vince un pupazzo di peluche alla sagra del paese.

Nel Nord Europa, la leva non è mai uscita davvero di scena. In Finlandia e Norvegia è obbligatoria, in Svezia selettiva. Qui, la coscrizione è vista come strumento di coesione nazionale, di resilienza, di formazione del carattere. Un modo per temprare corpo e spirito alle difficoltà, come se Marco Aurelio si aggirasse tra le tende, sussurrando stoicamente ai giovani soldati. Non è solo difesa: è pedagogia (armata).

A presidio delle Alpi, si stagliano due sentinelle dalle vocazioni opposte. La Svizzera, pacifista per statuto e per cultura, incarna la neutralità come forma di identità. L’Austria, sua cugina storicamente più inquieta, meno incline al disarmo, porta con sé un’eredità più ambigua — non fosse altro per aver dato i natali a “baffino”, che di eserciti e colonne qualcosa ne sapeva.

Entrambe non hanno mai abolito la leva. La prima la considera parte integrante della cittadinanza, la seconda offre l’alternativa del servizio civile. Modelli diversi, ma radicati. Simile il caso greco, dove, causa della minaccia storica turca, la leva è obbligatoria e rappresenta un pilastro del sistema di difesa nazionale.

Nei Paesi Baltici esistono formule miste: la coscrizione obbligatoria è stata reintrodotta in Lituania, mentre in Lettonia ed Estonia si applica su base selettiva. Mentre in Polonia, il paese più popoloso e importante dell’Europa dell’est, il governo ha avviato programmi di addestramento volontario e ha aumentato significativamente il budget militare. Questi Paesi condividono una memoria storica e una geografia che li rende particolarmente sensibili alle minacce provenienti da est. Leggi Russia.

In Europa occidentale, Francia, Spagna, Portogallo, Belgio, Paesi Bassi e Gran Bretagna hanno tutti abolito la leva tra gli anni ’90 e 2000. In Francia, Emmanuel Macron ha introdotto nel 2019 il “Service National Universel”, un programma civico e volontario per i giovani, ma non si tratta di una vera coscrizione. In questi Paesi, il modello dominante resta quello dell’esercito professionale, anche se la carenza di personale e le nuove minacce stanno spingendo quasi tutti i governi a valutare forme ibride.