La fertilità delle donne schiavizzate veniva esaminata dai proprietari di schiavi. Essi si assicuravano che fossero in grado di procreare e avere il maggior numero di figli possibile. In segreto, i proprietari di schiavi violentavano le donne schiavizzate e quando il bambino nato cresceva e raggiungeva l’età con cui poteva già lavorare nei campi, prendevano i loro figli e li trasformavano in schiavi.
Era comune che i neri fossero sessualmente subordinati ai proprietari di schiavi, anche ai neri stessi. Faceva parte della funzione dell’uomo nero, come “strumento di animazione”, essere uno strumento di piacere.
Quando gli uomini di colore avevano 15 anni, e ancor meno in alcuni casi, venivano sottoposti a ispezione. I ragazzi che erano sottosviluppati venivano castrati e inviati al mercato degli schiavi o usati nella piantagione.
Ogni uomo di colore doveva mettere incinta almeno 12 donne di colore all’anno. Gli uomini venivano usati per la riproduzione per cinque anni. Uno schiavo di nome Burt ebbe più di 200 figli.
Per combattere l’alto tasso di mortalità tra gli schiavi, i proprietari delle piantagioni richiedevano che le donne nere iniziassero ad avere figli all’età di 13 anni.
A 20 anni era uso comune che le donne schiavizzate avessero già quattro o cinque figli. Come incentivo i proprietari terrieri promettevano la libertà alle donne di colore dopo che avessero dato alla luce almeno 15 bambini.
Se la donna di colore era considerata “bella”, veniva acquistata dal proprietario della fattoria e riceveva un trattamento speciale in casa, ma spesso era sottoposta alla crudeltà della moglie del padrone, compresa la decapitazione dei bambini che erano il risultato di uno stupro.
Spesso il proprietario della piantagione, per intrattenere i suoi amici, costringeva gli schiavi neri ad avere orge con più coppie e faceva sesso di fronte a loro.
Soumaila Diawara



