America latina e Cile tra passato e presente

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Nel pomeriggio di venerdì 8 novembre nell’aula magna dell’Istituto tecnico “Pacinotti” di Pisa, nell’ambito del progetto Contemporanea…mente, l’intellettuale cileno Rodrigo Rivas [1] ha incontrato studenti, docenti ed esterni alla scuola per affrontare la questione delle proteste in atto nel paese sudamericano e più in generale i vari aspetti del sub-continente latinoamericano. L’iniziativa, come avevamo immaginato noi studenti, si è rivelata molto importante dal punto di vista formativo per i contenuti ma anche da quello umano per le vicende personali che l’illustre ospite ha vissuto e ci ha raccontato. Pertanto ho pensato di raccogliere in un articolo i numerosi argomenti affrontati e le emozioni che abbiamo provato durante le due ore e mezzo di intenso confronto.

Uno sguardo al passato.

L’America Latina, nella quasi totalità, ottenne l’indipendenza all’inizio del ‘800 sotto la guida del Libertador, Simon Bolivar, ma per oltre un secolo e mezzo, si sono succeduti governi oligarchici e autoritari che tutelavano gli interessi dei latifondisti per cui le condizioni sociali dei ceti inferiori rimanevano molto distanti da quelli dei più abbienti.

Negli anni ’50-’60 del XX secolo, di fronte all’avanzata dei movimenti popolari-progressisti che chiedevano riforme, la risposta che fu data, fu violenta: il colpo di stato. Il “golpe” represse, non solo questi movimenti, ma l’intera società con dittature brutali. Dittature militari che stroncarono qualsiasi tentativo di cambiamento e nello stesso tempo accentuarono ulteriormente certi tipi di politiche economiche; in particolar modo le politiche neo-liberiste che vennero introdotte su scala mondiale, nel 1975 proprio in Cile, dopo il colpo di stato di Pinochet del 1973.

Dopo un trentennio di dittature, dagli anni ’80 si verificò un graduale ritorno alla democrazia, ma non una forma di democrazia “compiuta” ma una democrazia definita “vigilata” perché i soggetti che si erano resi protagonisti dei colpi di stato e delle dittature tornarono alla vita normale, godendo dell’immunità ma talvolta anche continuando a ricoprire dei ruoli importanti; ad esempio Pinochet diventò senatore a vita e all’inizio aveva avuto l’incarico di presidente delle forze armate cilene.

Per i crimini che sono stati commessi, quali omicidi, torture, sparizioni etc… non ha risposto quasi nessuno fino a che poi è stato celebrato il processo detto al “Plan Condor” che si è tenuto anche in Italia contro esponenti di queste dittature che avevano commesso crimini contro cittadini italiani o di discendenza italiana, questo perché fra le vittime della repressione vi erano anche cittadini di Stati europei e tra questi anche italiani. La sentenza della Corte d’Appello di Roma del luglio del 2019 ha condannato a 24 ergastoli i vertici dei regimi militari latinoamericani, responsabili della sparizione o dell’uccisione di 43 persone, di cui 23 italiani con doppia cittadinanza. Il Plan Condor è stato un progetto di criminale collaborazione attuato negli anni ’70 fra gli apparati repressivi delle dittature militari, appoggiati dalla CIA e dall’amministrazione Nixon, per eliminare fisicamente gli oppositori politici, spesso dopo brutali torture.

Questo sub-continente, dopo un trentennio di oppressione, dove Cuba ha continuato a resistere al dominio imperialista, sembrava ormai piegato, assuefatto da queste dittature, ma un sussulto improvviso, che prese avvio con l’elezione di Hugo Chavez a Presidente nel 1998 in Venezuela (paese produttore di petrolio, quindi strategicamente importante), era destinato a rappresentare i primi vagiti di una nuova stagione politica.

L’elezione di Chavez innescò un effetto “domino” nel sub-continente latino-americano, tant’è che nel 2004 venne eletto presidente, l’ex sindacalista Inácio“Lula” da Silva in Brasile e da qui, a cascata, la maggior parte dei paesi sud-americani conobbero governi progressisti, qualcuno per la prima volta nella propria storia. Questa inedita stagione politica, arrivò all’apice nel 2009, quando dei principali 10 paesi sud-americani ben 8 erano guidati da governi progressisti.

Inizialmente, ciò colse di sorpresa anche gli USA, potenza geopolitica mondiale e regionale, i quali registrarono una diminuzione parziale della propria influenza, soprattutto in Sud America e l’avvio di un interessante processo di integrazione regionale fra paesi latinoamericani, detta Sud-Sud, che portò, fra le varie, ad un nuovo corso del Mercosur, alla fondazione dell’Alba (Alleanza Bolivariana dei popoli della nostra America) e di Petrocaribe.

I governi degli Stati Uniti, sin dall’enunciazione nel 1823 della “Dottrina Monroe”, hanno sempre considerato l’America Latina il proprio “cortile di casa”, infatti, all’epoca, già pensavano ad un ruolo di potenza continentale egemone quando ancora non avevano completato la conquista dell’Ovest. Praticamente, gli USA, sotto lo slogan “l’America agli americani” presagivano un continente americano sotto la loro supremazia, lanciando l’avvertimento alle potenze europee di non interferire nei loro affari. In pratica, avevano previsto che sul continente americano si dovesse stabilire un’area di propria influenza geopolitica esclusiva.

Gli Usa si riorganizzarono quindi per ristabilire la loro egemonia nel sub-continente e per tutelare i loro interessi, sperimentando nuove strategie di destabilizzazione dei governi “avversi”: il cosiddetto “golpe istituzionale”, attuato non più con i carri armati per le strade come in passato ma per via istituzionale e giudiziaria. Questa strategia di destabilizzazione è stata sostenuta anche da una forte campagna mediatica favorita dal fatto che in America Latina le TV private sono di proprietà delle oligarchie locali ed hanno la predominanza su quelle pubbliche.

Nel 2009 venne, quindi, estromesso il presidente democraticamente eletto, Manuel Zelaya, in Honduras e nel 2012 il primo presidente progressista del Paraguay, l’ex vescovo Fernando Lugo. Nel 2015 fu la volta di Dilma Rousseff in Brasile, estromessa, con accuse rivelatesi poi false, attraverso una voto di impeachment a livello parlamentare, per altro effettuato da parlamentari accusati di corruzione e condannati. Il Brasile tornò dunque in mano alle destre dopo 11 anni di governi progressisti e, a conferma che “l’aria era cambiata”, di lì a poco veniva incriminato e incarcerato senza prove certe anche l’ex presidente Inacio Lula Da Silva, candidato del centro-sinistra alle elezioni presidenziali del 2018 e in netto vantaggio nei sondaggi. Elezioni che a causa della sua forzata rinuncia sono state vinte abbastanza agevolmente dall’ex ufficiale dei paracadutisti, Jair Bolsonaro. Lula, che non ha mai fatto richiesta di grazia perché certo della sua innocenza, dopo 19 mesi di ingiusta reclusione è stato finalmente scarcerato nel novembre 2019.

Di fatto, i governi progressisti, logorati da un’azione non radicale, non profonda, in campo economico e politico, non sono riusciti a modificare la struttura economica di questi paesi (non sono state fatte riforme agrarie e non è stata redistribuita la terra), ragion per cui hanno finito per perdere parte del sostegno popolare sul quale avevano costruito la loro ascesa. In pratica, hanno gestito una fase finanziaria a loro favorevole, quella delle quotazioni alte dei prodotti primari nelle borse, le cosiddette “commodities” (prodotti agricoli, minerari ed energetici quotati in Borsa) ridistribuendo in progetti sociali i proventi delle vendite all’estero, senza sostanzialmente intaccare i privilegi della borghesia e dell’oligarchia, alienandosi quindi parte del consenso popolare.

Nel frattempo la riorganizzazione della destra continentale e dell’imperialismo ha fatto sì che il ciclo politico dei governi progressisti andasse verso la conclusione e dal 2015 in poi possiamo considerarlo finito.

La situazione attuale

In Sud-America a fine 2019, si sono tenute tre tornate elettorali presidenziali importanti. In Argentina, dopo 4 anni di governo neoliberista del presidente Macrí che ha devastato l’economia e portato gravi danni sociali quali recessione economica e aumento della povertà, della disoccupazione e del debito pubblico, i peronisti di sinistra sono tornati al potere con Alberto Fernandez. In Bolivia è andato in scena l’ennesimo colpo di stato: le elezioni erano state vinte per la quarta volta consecutiva dal presidente Morales, ma la destra appoggiata dall’esercito, utilizzando l’accusa, poi rivelatasi infondata, di brogli, ha chiesto e ottenuto la sua rinuncia e lo ha costretto a fuggire all’estero per mettersi in salvo. L’oligarchia bianca ha così preso in mano le redini del paese. La terza tornata elettorale si è svolta in Uruguay dove al primo turno nessuno dei 2 candidati ha superato il 50% e al secondo turno ha vinto il candidato di destra Luis Alberto Lacalle Pou che ha messo fine al ciclo di governi di centro-sinistra del Frente Amplio dopo 16 anni.

Nelle ultime due settimane (rispetto alla data dell’incontro, ndr) l’America Latina è stata attraversata da profonde proteste popolari perché evidentemente l’esasperazione sociale stava covando da tempo. Per esempio in Ecuador, dove la Confederazione delle nazionalità indigene ecuadoriane “CONAIE” ha indetto degli scioperi che hanno scosso il paese e messo in crisi il governo.

E in Cile dove, dopo anni di neoliberismo introdotto ai tempi di Pinochet e istituzionalizzato attraverso una Costituzione approvata durante la dittatura, il popolo – dato che la sanità non è gratuita e non è pubblica ma è in mano ai privati, l’università è totalmente a pagamento, per cui per frequentarla ci si indebita anche per 30 anni, le pensioni sono da fame, gli stipendi sono bassi, l’azione sindacale è ridotta al minimo – è arrivato all’esasperazione e, a causa dell’aumento del biglietto della metropolitana di 0,30 centesimi, ha cominciato a protestare senza sosta.

Il presidente Piñera prima ha cercato di reprimere queste proteste brutalmente, dichiarando lo stato di emergenza e mandando l’esercito nelle strade, facendo tornare i vecchi incubi del colpo di stato di Pinochet con persone morte durante le manifestazioni, molti feriti, arresti arbitrari, stupri e violenze di ogni genere. In un secondo tempo in qualche modo ha ammesso di aver sbagliato ed ha cercato di fare marcia indietro. Ma ormai la protesta aveva preso forza per cui i manifestanti hanno continuato a protestare non accontentandosi più a quel punto del ritiro dell’aumento del prezzo del biglietto e delle promesse varie fatte da Piñera, come d’altronde a poco è valso il tentativo di confondere la situazione politica facendo insediare di un nuovo esecutivo, sempre però guidato da lui stesso. La tensione sociale in Cile era evidentemente giunta al limite.

Aspetto importante da sottolineare è che i media occidentali si sono completamente disinteressati di ciò che sta succedendo in Cile, dove per il 26 aprile 2020 era stato indetto (poi rinviato per la pandemia) il referendum per decidere se cambiare la costituzione introdotta da Pinochet negli anni ’80.

Le vicende cilene

Il Cile, 18 milioni di abitanti, grandi risorse minerarie che sono la sua principale attività economica (si calcola che tra Russia, Sud Africa e Cile ci siano il 60% delle risorse minerarie mondiali), ha avuto una vita politica per molti versi curiosa. Il primo governo del fronte popolare è nato in Cile negli anni ‘30 (prima di quello di Leon Blum in Francia) con una coalizione di comunisti, socialisti e socialdemocratici durante il quale vennero fuori alcuni aspetti interessanti. Spesso infatti, si pensa che il Cile faccia parte del terzo mondo invece è un paese nel quale dal 1940 si calcola che il tasso di analfabetismo sia inferiore al 2% della popolazione. È un paese nel quale lo Stato separato dalla Chiesa regolarizza il matrimonio.

Nel 1970 viene eletto democraticamente il Presidente di sinistra Salvador Allende. Allende non ha la maggioranza ma arriva primo raggiungendo il 36% dei voti. Non essendoci il ballottaggio decide il Parlamento e il Parlamento decide che la vittoria va a chi comunque è arrivato primo. Rodrigo Rivas è figlio di un esule catalano. Suo padre arrivò in Cile negli anni ’30 e Rodrigo, all’epoca ancora bambino, si considerò sempre cileno. Rodrigo quindi è figlio di un esule spagnolo e a sua volta è diventato esule cileno. Durante il Governo Allende ha appena finito l’Università e viene eletto presidente della Federazione degli studenti del Cile. Come primo lavoro diventa capo di una azienda statale e poi collabora con il Presidente come consulente sui movimenti giovanili, per cui conosce Allende abbastanza bene e direttamente. Cosa propone Allende? Il Cile è un paese ricco con gente povera: questa è una contraddizione che non ha senso. Come si fa ad essere meno poveri? Bisogna recuperare le risorse fondamentali: le miniere! Bisogna fare una riforma agraria seria indennizzando chi ne era proprietario prima. Diversamente dalle esperienze di ciò che era stato chiamato Socialismo reale, Allende non aveva mai puntato su una statalizzazione totale dell’economia, anzi, la linea di base era che le aziende recuperate dallo Stato fossero dirette da collettivi di lavoratori organizzati. Appena Allende vince le elezioni comincia quindi un grande processo innovativo che lo porterà alle elezioni del 1973 ad avere il 46% dei consensi. Rodrigo nel frattempo viene eletto deputato. Ma proprio nel 1973, precisamente l’11 Settembre avviene il colpo di stato.

La sera del 10 Settembre 1973 il Presidente della Repubblica convoca nel suo gabinetto politico i suoi massimi dirigenti per raccontare loro che per evitare una possibile guerra civile ha deciso di dimettersi. Non vuole dimettersi direttamente ma vuole fare un plebiscito dove semplicemente chiede: “Volete che il governo continui o no?” perché quando la gente vive una situazione di costante agitazione vuole porvi fine e vivere una vita tranquilla. Il paese era ormai da tempo sottoposto ad una azione di destabilizzazione sociale e di strangolamento economico da parte dell’oligarchia nazionale e degli Stati Uniti che non accettavano l’affermazione dei principi socialisti per via democratica in America Latina.

Alle 23:00 del 10 Settembre ad un certo punto Allende si alza e dice: “Signori, adesso vi devo congedare perché sta arrivando il mio amico personale, capo dell’esercito, generale Augusto Pinochet al quale comunicherò questa mia decisione”. L’11 Settembre quindi, Allende dovrebbe presentare il suo piano delle dimissioni per televisione e sui giornali…invece alle 5:00 del mattino dell’11 Settembre 1973 inizia il colpo di stato da parte proprio di Pinochet.

Il giorno del colpo di stato, Rodrigo dorme a casa e questo non succede sempre; si è svegliato con le cannonate alle 6:00 del mattino. Alle 7:30 del mattino esce di casa, e non vi farà più ritorno. In questo momento il Cile ha la sfortuna di essere un Paese che, in qualche modo, indica le strade agli altri stati sudamericani. In Cile vengono assassinati sindacalisti, contadini e studenti. Non sapremo mai quanti! Alla fine del ’73, due mesi dopo il colpo di stato, un vescovo svizzero sostiene che ci siano prove che le persone uccise siano 30.000. Trentamila persone in 2 mesi sono 250 al giorno! Santiago era un cimitero.

A Santiago passa un fiume, tutte le mattine chi può va a vedere quanta gente vi è “cascata” la sera prima e morta “affogata” con qualche pallottola nel corpo. È un massacro. La paura non è solo per quello che ti possono fare ma anche per quello che tu vorresti fare perché hai paura di avere qualche motivo per essere ucciso.

Una volta assunte le redini del paese, Pinochet sa quello che deve fare: consegnare le miniere alle compagnie multinazionali, soprattutto statunitensi e canadesi, consegnare tutte le fabbriche ai privati, consegnare i giacimenti di minerali che in quel momento nemmeno venivano sfruttate, come per esempio il litio, ai suoi parenti. Nella zona sud del Cile c’è una sorta di territorio, a causa dei fiordi, molto simile alla Scandinavia, lungo 2.000 km. Quella zona, non essendoci all’epoca una strada, era molto difficile da raggiungere e quindi Pinochet fa costruire un’autostrada. Per 15 anni decine di migliaia di lavoratori sono costretti a lavorare in quella zona in cambio di due tazze di tè e di due panini al giorno. Con questa logica il paese si modernizza e va avanti su molti aspetti. Il Cile, ad esempio, ha una percentuale di uso di Internet più alta di quella degli stati europei.

Nel 1988 Pinochet indice un plebiscito che pensa di vincere così come pensano tutti. Per essere democratico, autorizza tutti i cileni, anche condannati a morte espatriati, a tornare in Cile per due settimane. Anche Rodrigo, impaurito, torna in Cile per due settimane. Torna per vedere cosa è successo visto che per 18 anni non è potuto rientrare nel suo paese. Pensa anche lui che Pinochet vinca il plebiscito e invece perde: non per molto (51% a 49%) e quindi un anno dopo deve lasciare il Governo ed iniziare la transizione verso la democrazia.

Le contraddizioni del modello neoliberista democratico

La Costituzione fatta approvare da Pinochet nel 1980 ha tracciato il quadro giuridico che ha agevolato la privatizzazione della maggior parte delle aziende pubbliche cilene. Anche il mare cileno è stato consegnato a dei privati. Hanno privatizzato il mare, l’acqua. In Cile ‘acqua è privata, i fiumi, i laghi… Il processo di privatizzazione avviato durante la dittatura è stato portato avanti anche dai successivi governi democratici. Soprattutto le società spagnole ne hanno approfittato diventando proprietarie della telefonia (Telefonica) e dell’elettricità (Endesa) da poco passata all’italiana Enel. Stessa sorte è toccata al sistema bancario pubblico passato anch’esso principalmente sotto controllo del capitale spagnolo.

Il Cile è un paese ricco, organizzato, dove si tengono conferenze sull’ambiente, sul clima, sull’economia. Ha un Pil pro-capite intorno ai 27.000 dollari, superiore a quello di Spagna, Portogallo, Grecia e di altri paesi europei. In base agli indicatori macroeconomici, il Cile e il Messico sono i paesi dell’America Latina più sviluppati. Ma… come vivono i cileni? Lo stipendio medio, in questo momento, in un paese che è sviluppato poco meno dell’Italia, è di 30.0000 pesos quindi poco sotto i 400 euro. Le pensioni medie sono un quarto degli stipendi ovvero 100 euro al mese, praticamente il popolo muore di fame.

Dal 15 Ottobre 2019 il governo ha avuto l’idea di aumentare il biglietto dell’autobus e della metropolitana di 30 pesos. Il 18 Ottobre 2019 i giovani studenti decidono di non pagare il biglietto e salgono sull’autobus semplicemente senza pagare. Nei giorni successivi le manifestazioni si estendono in tutto il paese. A Santiago c’è stata una manifestazione che secondo la polizia ha coinvolto 1 milione di persone mentre secondo i manifestanti le persone scese in piazza sono state 2 milioni. Dopo 3 mesi di proteste in Cile, secondo l’Istituto nazionale cileno per i diritti umani [2], ci sono stati 27 morti, 3.649 feriti e curiosamente 405 persone senza un occhio perché la polizia spara all’altezza degli occhi dei manifestanti.

I cileni chiamano questo “l’Ottobre cileno” ovvero “l’Ottobre sovietico” ma per loro è il periodo del risveglio del paese. La gente, che ha “dormito” per quasi 30 anni (dalla fine della dittatura) ad un certo punto scopre che non ne può più e insorge. Perché succede questo? Perché il neoliberismo crea una casta che è proprietaria di tutto. Si calcola che il 60% dell’economia cilena sia in mano a 5 persone. L’insurrezione affonda le radici nelle umiliazioni ricevute in passato e la grande vittoria dell’insurrezione è quando tu vedi che le umiliazioni che hanno inferto per anni e anni a te, ai tuoi genitori, ai tuoi nonni, ai tuoi figli vengono riscattate, quando si arriva a pensare che siamo persone! Questa è la lezione che ci lascia in eredità il Cile.

[1] Rodrigo Rivas è un intellettuale cileno che da neolaureato ha collaborato con il Governo di Salvador Allende. Dopo il golpe di Pinochet dell’11 Settembre 1973, perseguitato, come molti altri attivisti politici, sindacali e semplici sostenitori della sinistra dai militari di Pinochet, è riparato, insieme a molti altri nell’Ambasciata italiana, dalla quale, grazie all’impegno diplomatico è riuscito a raggiungere l’Italia e ad ottenere asilo politico e a rifarsi una vita. Qui ha contribuito alla formazione culturale di varie generazioni di giovani con i suoi libri e le sue lezioni.   fonte