Antonella Bundu su Sollicciano

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E poi quella ragazza che ti spiega come fra di loro si devono aiutare per spedire le lettere interne, per chi vuole scrivere al compagno che si trova sempre lì dentro a Sollicciano, la regola stabilisce che ci vogliono comunque i francobolli ma l’amministrazione non li dà per mancanza di fondi.
Il signore che chiede di poter lavorare, da porta vivande, da scopino, quel che c’è… purtroppo lo chiedono in tanti ma devono fare a rotazione, lavorare per 1 mese e poi fermarsi per altri 4 e più mesi.
La signora che chiede perché non viene ripristinata la scuola superiore…
Quelli che chiedono l’art. 21, affidamento esterno per lavoro.
E poi quei farmaci per dormire che usano quasi tutti nella parte giudiziaria.
“Il dentifricio, signora, manca il dentifricio” e sai che se non lo portano i volontari, continueranno a lavarsi i denti col sapone per un bel po’.
Gli stranieri all’interno del carcere, la maggioranza sono stranieri, con alcuni dei quali parlo in pidgin, altri in francese e in inglese, molti si lamentano di non poter sentire i familiari, perché per telefonare all’estero serve fare richiesta allegando il contratto telefonico intestato al parente che si vuole chiamare e per molti è un ulteriore ostacolo con l’esterno.
Il fiorentino con il tatuaggio DUX sul collo, che lamenta le incomprensioni che sorgono, a volte portando a risse, per via della lingua che non hanno in comune…
Il signore nel settore protetto, quello dei pedofili, dei militari, dei collaboratori di giustizia, per intendersi, che conosce a menadito i suoi diritti e ti elenca quelli che vengono negati all’interno di Sollicciano.
Il signore di 80 e passa anni, che era in infermeria e ci è venuto incontro con piccoli passi e con voce flebile raccontandoci la sua storia.
E il fumo, tutti che fumano ovunque.
Lo chiamano “la medicina di padre pio” il Brufen che viene dato quando lamentano un dolore, come fosse un rimedio miracoloso per tutto, così raccontano in diversi, dal signore con la gotta a quello con un ascesso che chiede una visita medica da 2 mesi ma gli viene portata sempre La medicina di Padre Pio.
L’autolesionismo – tanti uomini con le braccia segnate con tanti tagli fini rimargimati che sembrano pieghe di rughe, “perché?” chiedo. “Per essere ascoltato, per ricevere attenzione e riuscire a parlare con il direttore.” Poi c’era anche quello che si era tagliata la pancia e anche la faccia, quel ragazzo giovane con lo sguardo perso e un solco rosso secco in cima all’attaccatura dei capelli, perché ogni tantospesso , ci racconta l’agente, dà le testate alle sbarre, ma questi due ultimi casi sono un’altra storia, perché loro sono malati psichiatrici e non dovrebbero nemmeno essere in un carcere ma non c’è posto nelle strutture che dovrebbero accoglierli.
E poi ancora l’ora d’aria del giudiziario (quello del penale ha delle griglie di ferro al posto del cemento che ti permettono di vedere il verde all’interno della struttura) , quello spazio rinchiuso fra le mura alte di cemento, con una griglia sopra, dove si posano i piccioni, che defecano allegramente, griglia messa non per la 416 (quei numeri, tutti quei numeri che conoscono chi vive nelle carceri e pochi altri) che a loro non va applicata, ma per evitare che gli oggetti lanciati o caduti dalle celle in alto finiscano in testa ai detenuti.
È agosto, non era particolarmente caldo per essere Ferragosto, ma nei chilometri di corridoi che collegano i vari settori, la parte alta del muro, che è in vetro cemento, è ricoperta da un telo di plastica, “perché con il caldo il vetro cemento scoppia” e ti ritrovi in un perfetto clima da serra per piante tropicali.
E di nuovo la mancanza di affettività, con quel ragazzo che si domanda disperato perché gli negano il permesso per un colloquio con la sua fidanzata.
E quelle celle singole, che singole non sono, perché quasi tutte hanno i letti a castello che ospitano 3 persone, la superficie calpestabile si riduce così a 2 metri quadri circa a persona, 1 di meno di quello stabilito dalla legge. 3 persone in una cella, chiusa 21 ore su 24.
E quell’acqua dappertutto. La necessità che aguzza l’ingegno, infatti sotto il primo dei 3 letti a castello, quasi tutti hanno costruito una specie di rete a 20 cm da terra, sulla quale riporre le scarpe per non ritrovarle mézze (bagnate) la mattina, perché di giorno, con la paletta, i cenci e la scopa, raccolgono l’acqua e la buttano nel wc, ma di notte dormono e al risveglio la cella è allagata.
Le lenzuola che vengono cambiate una volta al mese.
Il signore tunisino che non parla italiano e guardando il muro fa il gesto di due dita che si arrampicano e con la bocca fa il suono “crrr, crrrrr” e il suo compagno di cella ti spiega che sta cercando di dirti che la notte escono gli insetti che camminano sul muro.