BEATI GLI ULTIMI?

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Ci sono giorni che darei non so cosa per stringere una mano, per abbracciare chiunque, anche un passante. Giorni come questi che si cammina per le strade del centro, ci si incrocia ma tutti separati da giacche spesse, mascherine, strati di creme disinfettanti sulle mani. Cammino e guardo la gente che appoggia il viso contro le vetrine ma poi tira dritto.
Giorni che mi chiedo come sarà domani. Se sia stata almeno una consolazione soffrire tutti insieme. Se questo dolore un poco ci abbia almeno ‘purificati’.
Cammino e penso a quando non facevamo a queste cose. Davamo tutto per scontato.
Sì, è un momento duro per tutti. Ma poi arrivo sotto i portici della Regione. Oggi che il freddo ti entra dentro, oltre la pelle. E c’è un vento che non dà riparo.
Ecco, lì tra le colonne ci sono i ragazzi che in bici ci portano il cibo a casa. Ore e ore a pedalare e schiattare di freddo per pochi euro. Perfino oggi, riparati da giacchette impalpabili. Si ritrovano qui non perché sia riparato, ma probabilmente per stare insieme. Sono africani, sud americani e italiani. Passo loro vicino e ascolto brani di conversazioni incomprensibili. Chissà, mi chiedo come sia trovarsi a parlare la propria lingua in mezzo a una città che non ti capisce e non capisci. Come sia parlare di luoghi, cose, odori, colori che sono lontani migliaia di chilometri.
Li sento parlare, questi ragazzi, e mi pare che sfreghino le parole una contro l’altra come pietre per fare la scintilla e scaldarsi.
Loro restano qui al freddo. Io torno a casa. Chissà se il dolore di quest’anno mi farà pensare di più a chi sta peggio di noi. O se me lo farà dimenticare.