Credo che il sogno di tutti i giornalisti dei miei tempi fosse quello di intervistare Gianni Agnelli. Ci provai per le vie normali. L’ufficio stampa mi rispose che per i prossimi tre anni non c’erano possibilità. In effetti per una televisione locale l’impresa è alquanto ardua. Decisi che l’unico modo era quello di sbucare all’improvviso davanti all’avvocato con microfono e telecamera accesi e tentare l’azzardo. E così feci. Al termine di un convegno al Lingotto mi lancia con l’operatore appena vidi che Gianni Agnelli aveva terminato l’intervento. Feci pochi passi. Le sue guardie bloccarono Bruno e me con modi bruschi tenendoci fermi.
Ma l’avvocato aveva notato la scena che io, con lamenti esagerati, cercavo di rendere più evidente possibile. Fece un cenno. I suoi energumeni lasciarono le prede. Eravamo ammessi al cospetto del re. Mi presentai o meglio tentai una presentazione perché con un sorriso appena accennato Gianni Agnelli mi sbalordì: “Lei è Beppe Ghisolfi. Quando sono a Torino guardo il suo telegiornale. Sempre pungente”. Facemmo l’intervista e ci lasciammo con grande cordialità. A quella ne seguirono decine di altre. Mai una difficoltà, mai un problema. Se mi vedeva col microfono Agnelli si fermava. Una volta, presente un amico di Fossano, decisi che non era opportuno disturbare l’avvocato. Non volevo che pensasse che mi ero preso troppa confidenza. Rimasi seduto al mio posto aspettando che i relatori se ne andassero. L’avvocato mi vide e si avvicinò chiedendomi sorridente se fossi in sciopero. Ovviamente scattai come una molla e realizzammo l’intervista. L’amico di Fossano rimase sconvolto ed ancora oggi racconta l’episodio.