Bonomi, il falco e leader della Confindustria

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Si scaglia contro la proposta di legge del ministro del lavoro Orlando che vuole porre un freno alle delocalizzazioni delle multinazionali stabilendo qualche regola e qualche penalità.

Sono norme che esistono anche in altri paesi europei e che non impedirebbero certo di attrarre investimenti in Italia da parte di imprese serie.
Infatti esse cercano di affermare il principio che un’azienda non è fatta solo da chi possiede il capitale ma essa appartiene anche a un territorio e ha un debito verso i lavoratori che non può liquidare con una mail.
A mio avviso, quello di Bonomi è solo l’inizio di un attacco a Orlando e al governo Draghi, se questi sosterrà, come mi auguro, le sue proposte.
Alla ripresa, a settembre, si dovrà discutere di riforma degli ammortizzatori sociali e lo scontro sará tra chi vuole la libertà di licenziare e chi invece vuole che, di fronte ad una crisi, i lavoratori, protetti in qualche forma, possano mantenere un rapporto per un certo tempo con l’azienda e così tentare di condizionare con la loro lotta gli esiti della crisi stessa.
Molte volte, lo dico per esperienza, l’impegno dei lavoratori ha consentito all’azienda di riprendere a produrre o di riconvertirsi ed essere rilevata da un imprenditore che è subentrato facendo investimenti.
Evidentemente questo non piace ai falchi di Confindustria che dallo Stato pretendono e ottengono abbondanti sussidi ma se poi lo Stato vuole intervenire per salvare il lavoro allora gridano alla lesione del principio di libertà dell’impresa.
Per loro, i lavoratori non devono avere nemmeno il diritto di lottare per difendere il proprio posto di lavoro.
Essi vorrebbero che il capitale fosse libero di licenziare senza alcun vincolo e di vendere gli stabilimenti che decide di chiudere senza essere disturbato dai presidi e dalle manifestazioni degli operai e dei cittadini.
Questo non è previsto dalla nostra Costituzione perché questa libertà assoluta del capitale non riconosce la necessità dei fini sociali della proprietà privata e nega la partecipazione dei lavoratori alla vita dell’impresa.

Enrico Rossi