CAI: COMPREHENSIVE AGREEMENT INVESTMENT OPPURE “CINA, ASSERVIMENTO INTEGRALE”?

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LA UE CHIARISCA, MENTRE CONTE E DI MAIO RIFERISCANO SULLA PROPRIA GRAVISSIMA ASSENZA

IVANO TONOLI, SEGRETARIO PARTITO UNIONE CATTOLICA E PRESIDENTE CONFEDES: IL GOVERNO ITALIANO NON SI NASCONDA DIETRO CAVILLI PROCEDURALI, PALAZZO CHIGI AVEVA IL DIRITTO-DOVERE DI PRESENZIARE ALLA VIDEOCALL UE – CINA, E DOVEVA RIVENDICARE TALE PARTECIPAZIONE IN RAGIONE DELLA PRESIDENZA DI TURNO DEL G20 ASSUNTA DALLO SCORSO DICEMBRE

CHE IL TRATTATO COMMERCIALE SIA A SENSO UNICO A SOLO FAVORE DEL DRAGONE, LO SI EVINCE DALLE DICHIARAZIONI BIPARTISAN DI ALLARME LANCIATE DALL’AMERICA CONTRO UN TALE ACCORDO. L’EUROPA NON SVOLGE ALCUN RUOLO DI MEDIAZIONE TRA EST E OVEST, SI LIMITA INVECE A DARE MANO FORTE A UN REGIME TOTALITARIO DEFINITO DALLA NATO UN RIVALE SISTEMICO

CAI: che cosa vuol dire una tale sigla acronima? Sulla carta di un trattato che attende le ratifiche – speriamo non all’ordine del giorno presente e futuro – di Consiglio e Parlamento UE e dei singoli Stati Membri, essa vorrebbe dire “Comprehensive Agreement on Investment”. Nella pratica, però, rischia di diventare un più tragicamente probabile e realistico “Cina, Asservimento Integrale”.

A manifestare plasticamente le insidie per noi racchiuse in un simile “accordo”, è il fermo-immagine della videoconferenza che si è svolta tra i leader della UE, da Berlino, Bruxelles e Parigi – ma non da Roma! – e il capo del partito comunista stalinista e maoista Xi Jinping da Pechino: tecnicamente, quello appena concluso è l’accordo di principio bilaterale che dovrebbe regolare gli investimenti europei in Cina secondo principi di parità fra investitori esteri e operatori economici locali (utopia assoluta!) e rendere in parallelo più trasparente l’agire degli esponenti istituzionali e aziendali cinesi nel Vecchio Continente, ma con armi legali fin da ora al di sotto dell’essere spuntate.

Nella videoconferenza compaiono, assieme al dittatore asiatico, la presidente della Commissione di Bruxelles Ursula Von Der Leyen, il numero uno del Consiglio Europeo Charles Michel, la presidente di turno della UE Angela Merkel, ed ecco spuntare il leader francese Emmanuel Macron. I grandi assenti? Tutti di parte italiana: fuori dalle frequenze della call sono rimasti David Sassoli, presidente Pd del Parlamento di Strasburgo che ha il compito di approvare o di respingere il trattato, e – tanto per non smentirsi – il premier avvocato Giuseppe Conte, tanto invasivo – sul fronte mediatico e della decretazione anticostituzionale – di ogni genere di libertà personale, familiare, imprenditoriale e religiosa in Italia, quanto invisibile e patetica macchietta scolorita e mai considerata ai summit continentali e internazionali se non per addossare nuovi costi all’Italia o per inserirlo, immaginiamo senza troppa convinzione degli altri convitati, nelle rituali foto di gruppo.

Ci auguriamo che il premier grillino giallo-verde-rosso vorrà riferire, o che qualcuno lo costringerà a comunicare al Parlamento le ragioni per le quali il formale rappresentante governativo di un Paese che ha da poco assunto la presidenza di turno del G20 – la riunione delle prime 20 Nazioni industrialmente più avanzate del Pianeta – non abbia sentito la necessità, per sé e per i Connazionali di cui si è sempre a torto autoproclamato avvocato – di rivendicare il proprio coinvolgimento in una call tanto importante per la qualità delle sorti Italiane.

Che fine ha fatto il tanto sbandierato orgoglio populista? Si è per caso… sfilacciato lungo la via della Seta? Non può che essere così, mancando altre plausibili spiegazioni.

Come è possibile che il primo ministro del Paese presidente di turno del G20 – raggruppamento nel quale rientrano i protagonisti della videocall e del nefasto trattato – non abbia avvertito l’intima esigenza, ovvero la sensibile opportunità, di partecipare a detto summit elettronico in modo da poter esprimere il punto di vista di una Italia che alla pandemia cinese ha pagato in proporzione, e anche in qualche termine assoluto, il prezzo più alto sotto i vari profili umani ed economici?

Ci auguriamo che non soltanto al Partito Unione Cattolica ma ad altre forze politiche, della formale opposizione interna ed esterna alla maggioranza giallorossa e grillo-comunista, si siano poste un tale interrogativo e intendano tradurre lo stesso in una interrogazione urgente al Parlamento di Roma e a quello di Strasburgo.

Per intanto, non possiamo che condividere il grido di dolore e di allarme, per fortuna bipartisan – anche se riteniamo che Biden, in quanto erede politico di Clinton e di Obama e della sinistra USA che ha ammesso la Cina nell’organizzazione mondiale del commercio WTO, non abbia alcun titolo di indignazione – proveniente dagli Stati Uniti d’America: Washington ha apertamente lamentato i vizi originali di un documento commerciale nel quale l’Europa, oltre a non coinvolgere neppure se stessa, sul piano della totalità delle proprie Istituzioni interne e degli Stati associati, ha agito in una logica radicalmente divisiva dell’alleanza Atlantica, ponendosi non come soggetto sovranazionale di mediazione fra Est e Ovest, bensì come “servant” di un regime nemico di qualsiasi diritto umano e umanitario, della persona, dell’etica scientifica e lavorativa e della libera concorrenza, un regime che la NATO ha messo per iscritto e definito in senso letterale come un “rivale sistemico” dell’Occidente. Non si è trattato di miopia da parte di Bruxelles, ma di vera e propria cecità tesa a ignorare se non negare l’evidenza delle interdipendenze manifatturiere, commerciali e finanziarie tra Nord America e Vecchio Continente.

Un trattato, il CAI, che non servirà minimamente a rimettere in riequilibrio una bilancia commerciale che vede l’Europa in deficit, nel confronto con la Cina, di 200 miliardi di dollari (dati Bloomberg ed Eurostat), una tendenza che si è approfondita nel corso del drammatico 2020 durante il quale il Dragone, dopo averci “sputato” addosso il virus chimerico, ha fatto esplodere e reso dirompente il proprio export di macchinari per l’industria biomedicale e di prodotti finiti per la farmaceutica e per la protezione individuale, il cui arrivo qui da noi è stato favorito altresì da strane ma ben riconoscibili e riconducibili organizzazioni intermediarie.

Date simili condizioni di partenza, come è pensabile che il cosiddetto CAI possa riportare i conti in pari, se al suo interno non sono previsti meccanismi di diritto e di fatto intesi a imporre a Pechino di rinunciare alla leva del lavoro forzato? Una leva quest’ultima ampiamente utilizzata in grandi regioni interne come lo Xinjiang dove i cittadini appartenenti alla minoranza Uiguri sono costretti a trascorrere la totalità della propria esistenza in centinaia di centri di detenzione assimilabili ai GULAG sovietici? Come è inoltre possibile che i firmatari lato UE non si siano accorti che non sono previste clausole che rendano obbligatorio, per il partito-Stato stalinista, il riconoscimento di sindacati lavorativi e di categoria indipendenti? Così come ci si è dimenticati di regole che intervengano a ridurre il potere di condizionamento del consiglio di Stato della Repubblica comunista cinese nell’ammissione degli investitori esteri, potere questo che rimane pertanto enorme e decisivo e a fronte del quale l’Unione Europea ha unicamente ottenuto da Xi l’impegno a fornire un elenco annuale dei sussidi statali assegnati ai settori economici che investono viceversa nel nostro Continente? Elenco, naturalmente, al quale non seguirà alcun automatico né immediato sanzionamento nei confronti del regime asiatico in caso di conclamati e – diciamo noi – fin da ora scontati abusi nel sostegno economico pubblico a quei soggetti che, valigetta alla mano, attuano l’accaparramento strisciante e la presa del controllo delle attività di grande, media e piccola dimensione nella UE.

Il Partito Unione Cattolica non cambia idea: la ratifica del CAI è solamente una gigantesca cortina fumogena utilizzata dai dittatori di Pechino al fine di distrarre, con la promessa di finte aperture verso un liberalismo economico e sociale inesistente – mancando il liberalismo e il pluralismo politico partitico – l’attenzione dalle gravissime responsabilità del gigante e untore asiatico nella pandemia tuttora in atto. Istituzioni democratiche continentali occidentali serie non perderebbero tempo in trattati boomerang, corrispondenti a un esercizio di roulette russa alla propria tempia, ma lavorerebbero al rafforzamento dell’alleanza transatlantica, che dalla vicenda esce al contrario fatalmente più divisa e indebolita di prima, e all’accelerazione della causa legale internazionale per richiedere i danni a Xi e compagni e per espellere, una volta per tutte, la Cina dal WTO.