Cancellare i decreti sicurezza

0
77

Certo, ma attenzione: se pensassimo che l’immigrazione non è un tema importante per gli italiani sbaglieremmo di grosso. Faremmo un drammatico errore – di nuovo, un enorme regalo a Salvini – se dessimo l’idea di non saper o non voler governare il fenomeno. Ci siamo già passati, evitiamo il bis.
Se mai la trattativa per la formazione del nuovo governo dovesse andare in porto, non c’è dubbio che una drastica correzione delle attuali politiche sull’immigrazione sia necessaria. I decreti voluti a tutti i costi dall’ex ministro dell’Interno collidono a vari livelli con la Costituzione e tradiscono la disumanità e la malafede con cui Salvini ha affrontato la questione: indifferenza per la crescente quota di naufragi e morti tra i migranti in fuga dalla Libia, criminalizzazione delle ONG (quando non c’è alcuna evidenza che leghi i flussi via mare alla presenza di ONG nel Mediterraneo – come ripetutamente documentato da ISPI), precisa volontà di acutizzare il problema degli irregolari (aumentati di 18mila unità in 9 mesi grazie alla cancellazione del permesso umanitario). Si aggiunga il clamoroso flop sul fronte dei rimpatri – in calo rispetto alla stagione di Minniti – e si avrà il quadro completo dell’operato di Salvini sul fronte dell’immigrazione.
L’unico evidente intento è stato quello di massimizzare il proprio rendimento elettorale, trasformando il Viminale in un avamposto sovranista e xenofobo.
Salvini ha scientificamente drammatizzato i tentativi di salvataggio operati da alcune ONG – responsabili di una quota inferiore all’8% degli sbarchi complessivi – ogni volta che ha avuto interesse a distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica da altri e più seri problemi, e ci è sempre perfettamente riuscito. L’ha fatto con totale cinismo, letteralmente sulla pelle dei migranti. E nel frattempo ha sistematicamente disertato le sedi europee in cui il problema veniva affrontato, arrivando a votare contro la revisione del Trattato di Dublino che penalizza l’Italia come Paese di primo approdo. Ha tradito la nostra Costituzione e la nostra storia, fatta di emigrazione e di accoglienza.
Ma guai, ripeto, a pensare che il tema non sia importante. Ci abbiamo già perso diverse elezioni, evitiamo di perseverare nell’errore. E non basta modificare le politiche di Salvini. Allo stesso modo vanno riviste le scelte che hanno caratterizzato i governi di centrosinistra a partire dal 2013, in particolare nella stagione di Alfano ministro dell’Interno. Quelle scelte hanno impresso nella mente degli italiani l’idea che l’immigrazione fosse un fenomeno fuori controllo, sia in mare che a terra; che i flussi fossero inarrestabili – e non lo erano, come ha dimostrato Minniti – e che l’accoglienza dei richiedenti asilo potesse tradursi in un lungo limbo di inoperosità a spese dello Stato, spesso e volentieri affidata ad organizzazioni non qualificate o addirittura dedite al malaffare.
Questo abbiamo fatto, in parte per incapacità e in parte per mancanza di coraggio (Minniti, arrivato tardi al Viminale, soprattutto per mancanza di tempo). Abbiamo consentito che nelle periferie più degradate montasse la guerra tra gli esclusi, che nell’assenza di regole e nel diffondersi della povertà si formasse l’humus ideale per l’affermazione di quel “Prima gli italiani” su cui Salvini ha costruito il suo primato.
La correzione dev’essere quindi ben più ampia, e non può fermarsi ai recenti decreti sicurezza.
I naufraghi in mare vanno salvati, anche con l’aiuto delle ONG, ma dev’essere altrettanto chiaro che il controllo dei confini va assicurato, altrimenti non esiste sovranità nazionale (che nulla a che vedere col sovranismo). La soluzione va trovata a livello europeo, insieme alla modifica del Trattato di Dublino, alla ripresa del Migration Compact e all’implementazione di accordi sui rimpatri con i Paesi d’origine dei migranti.
Vanno riaperti i canali di ingresso legali, selezionati e collegati alle necessità del mercato del lavoro, anche per svuotare i canali di ingresso gestiti dai trafficanti di uomini. Abbiamo bisogno di lavoratori stranieri regolari e qualificati, che versino i contributi e paghino le tasse. Persino l’Ungheria di Orbàn ne accoglie molti più di noi.
In questo modo gli ingressi spontanei verranno drasticamente ridotti, ma non eliminati. Servirà quindi, comunque, investire in politiche di formazione linguistica, culturale e professionale degli immigrati, subordinando il permesso di soggiorno (per lavoro) all’effettiva capacità/volontà di integrazione. Su questo punto #Bergamo può mettere a disposizione dell’Italia l’esperienza preziosa dell’Accademia per l’integrazione realizzata da Comune, Diocesi e Confindustria, che vede oggi tutti i 35 richiedenti asilo del primo “corso” impiegati presso aziende del territorio.
E bisognerà finalmente affrontare il nodo degli irregolari presenti sul nostro territorio: 600mila fantasmi che Salvini doveva rimpatriare in poche ore e che ha lasciato invece lì dov’erano, nella loro disperante marginalità sospesa tra l’essere sfruttati nel lavoro nero o farsi manodopera per le più diverse attività illegali. In passato i governi di centrodestra scelsero la via delle sanatorie. Il progetto di legge “Ero straniero” propone invece una regolarizzazione su base individuale, anche qui subordinata alla “comprovata volontà di integrazione” (chi non vuole lavorare o non rispetta le regole va comunque rimpatriato): sia come sia, è la vera questione aperta e non può essere elusa.
C’è dunque una strada per tenere insieme principi umanitari, legalità, sicurezza e interessi economico-demografici del nostro Paese. E’ complessa, difficile da realizzare, ma esiste. Richiede volontà politica e competenza. Prevede che non tutti gli immigrati possano essere accolti, ma solo quelli che si è in grado di integrare utilmente, con la condizione che si attivino – come mai è stato fatto in questi anni in Italia – potenti politiche finalizzate a favorire un’integrazione fondata sul lavoro. Ne saremo capaci? Per il (possibile) nuovo governo si tratta di un banco di prova decisivo.                                                         Giorgio Gori