Carceri, giustizia. Ma non era un’“impellente urgenza”?

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Ci sono brani del Vangelo che valgono per tutti, credenti o no che si sia; uno è il passo dove Matteo parla dell’affamato, che ha avuto da mangiare; dell’assetato, che ha avuto da bere; del forestiero, che è stato ospitato, vestito, curato; del carcerato, “e siete venuti a trovarmi”. Segue il “messaggio” preciso, inequivocabile

“Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli, l’avete fatto a me”. A me figlio di Dio, per chi crede; a me “prossimo” ma anche te stesso, per chi non ha fede.

Ci voleva papa Francesco: quest’uomo, venuto da “quasi la fine del mondo”, sulla scia di quanto invocato da un suo predecessore, Giovanni Paolo II, decide, in prossimità delle feste natalizie, di incontrare gli “invisibili”; coglie l’occasione per affrontare temi cruciali. Dalla violenza alle donne al sovraffollamento delle carceri: ”È tanto, tanto grande il numero di donne picchiate, abusate in casa, anche dal marito.

Il problema è che per me è quasi satanico, perché è approfittare della debolezza di qualcuno che non può difendersi, può soltanto fermare i colpi. È umiliante, molto umiliante″. E poi l’altro suo tema assillante, le carceri: ”Il sovraffollamento delle carceri è un muro, non è umano! Qualsiasi condanna per un delitto commesso deve avere una speranza, una finestra. Un carcere senza finestra non va, è un muro”. E in risposta alle domande di un ex ergastolano che racconta anche l’esperienza della pandemia in carcere: “Una cella senza finestra non va. Finestra non necessariamente fisica, finestra esistenziale, finestra spirituale. Poter dire: “Io so che uscirò, io so che potrei fare quello o quell’altro”.

Per questo la Chiesa è contro la pena di morte, perché nella morte non c’è finestra, lì non c’è speranza, si chiude una vita”.