Cartabia: “Tra i miei obiettivi c’è garantire tempi ragionevoli per i processi”

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L’anno della giustizia 2021 è stato guidato in larga misura dai due fattori di contesto che hanno dominato in tutto il sistema paese: la pandemia; la pianificazione PNRR e la sua prima attuazione. Due elementi che da un lato hanno posto continui imprevisti, sfide e problemi, ma dall’altro hanno anche offerto una serie di opportunità e di spinte al cambiamento”.

Così ha esordito il ministro della Giustizia, Marta Cartabia, presentando questa mattina in Aula al Senato la relazione sull’amministrazione della giustizia. Nell’ampia relazione sono stati enunciati i tantissimi provvedimenti fatti in meno di un anno di governo.

La guardasigilli ha sottolineato che “mentre l’emergenza sanitaria premeva, con tutte le sue imperiose criticità, abbiamo messo a punto progetti e riforme strutturali a lungo termine, connessi agli obiettivi e alle opportunità offerte dal piano nazionale di ripresa e resilienza, in modo da avviare il nostro sistema giustizia verso le grandi linee di modernizzazione concordate con le istituzioni europee”.

Processi troppo lunghi

“L’azione del Ministero è stata determinata verso un obiettivo cruciale: riportare i tempi della giustizia verso la ragionevolezza come prevede la Costituzione e l’UE. I processi irragionevolmente lunghi rappresentano un vulnus per tutti”. Per questo” l’azione del Ministero della giustizia è stata orientata con determinazione verso un obiettivo che ho ritenuto cruciale: riportare i tempi della giustizia entro limiti di ragionevolezza”. Con uno “sforzo” rivolto “in linea di continuità con l’azione del precedente governo” ad “assicurare le necessarie risorse umane, materiali, strumentali, per permettere alle procure e ai giudici lo svolgimento della loro altissima funzione”.

Ha sottolineato la ministra Marta Cartabia. La ministra ha iniziato la sua relazione leggendo una lettera ricevuta l’8 marzo scorso, poco dopo il suo insediamento al ministero da una anziana madre che denunciava la difficoltà di realizzare il processo per la morte del figlio Roberto deceduto in un incidente sul lavoro” Non è una storia isolata, ha ricordato la ministra, ma paradigmatica che dà voce a tanti cittadini”.

Per la ministra dunque i processi troppo lunghi sono una sconfitta per tutti. “Per gli indagati e per gli imputati, che subiscono oltre il necessario la pena del processo e il connesso effetto di stigmatizzazione sociale.

Per i condannati, che si trovano a dover eseguire una pena a distanza di tempo, quando ben possono essere persone diverse da quelle che hanno commesso il reato. Per gli innocenti, che hanno ingiustamente subito oltre misura il peso di un processo che può aver distrutto relazioni personali e professionali. E soprattutto per le vittime e per la società, che non ottengono in tempi ragionevoli un accertamento di fatti ed eventuali responsabilità, come è doveroso in un sistema di giustizia che aspiri ad assicurare la necessaria coesione sociale”