CGIA: LA VERA PATRIMONIALE SI CHIAMA INFLAZIONE (E NON-EDUCAZIONE)

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Sono passati più di trent’anni da quella famigerata notte in cui tra il 9 e il 10 luglio del 1992, un decreto del primo governo della seconda Repubblica, a guida Giuliano Amato, diede esecuzione a un prelievo forzoso di oltre 5000 miliardi di lire, che attualizzati ai valori di oggi corrispondono a oltre 5 miliardi di euro

Erano i mesi del Paese sotto attacco a opera della speculazione valutaria e delle bombe mafiose, e dopo la manovra di bilancio dell’ex numero due del partito socialista nulla sarebbe più tornato come prima.

Così come nulla rischia di tornare alla situazione ante covid e ante guerra russa in Ucraina a seguito dell’ondata inflazionistica il cui impatto sul risparmio liquido diffuso delle famiglie italiane è stato misurato, dall’ufficio studi della Cgia di Mestre, in una dirompenza pari a 31 volte quella del prelievo forzoso deliberato nella tragica estate del 1992 dal dottor Sottile.

Se in allora il governo Amato poté agire in un contesto dominato dalla crisi dei partiti storici e dalla mancanza di nuovi soggetti politici ben definiti, oggi per lo meno possiamo contare su un quadro partitico ben delineato sia a destra, con l’esecutivo di Giorgia Meloni, che a sinistra, con un PD appena rinnovato nella sua segreteria nazionale con l’elezione di Elly Schlein e una probabile crescente intesa con il movimento cinque stelle.

Semmai, l’assenza di un quadro di riferimento chiaro si sposta sul livello europeo, dove il meccanismo intergovernativo alla base della fondazione e del funzionamento della UE ha oramai segnato il passo, e se contro la pandemia sanitaria ha evidenziato un sussulto molto importante con il varo del recovery fund, fonte finanziaria del piano italiano di ripresa e resilienza, è contro le conseguenze della guerra che si stanno manifestando le principali carenze strategiche e di azione. Tanto che la Commissione europea ha di fatto demandato alla BCE il compito di contrastare l’inflazione causata dalle tensioni internazionali del conflitto russo ucraino, attraverso la fine del piano Draghi e il rialzo continuo dei tassi di riferimento in base alla chiave di lettura più rigorosamente monetaristica del trattato di Maastricht del 1992.

Il risultato consolidato non è propriamente un capolavoro di politica economica: l’inflazione rimane elevata nelle sue componenti strutturali, nonostante il calo delle quotazioni del gas e la stagnazione dei salari, i finanziamenti a imprese e famiglie sono più costosi, il risparmio liquido non è remunerato.

Su quest’ultimo aspetto, stimando un tasso biennale cumulativo di crescita del livello generale dei prezzi tra il 2022 e l’anno in corso del 15 per cento, è lecito ipotizzare che il risparmio liquido delle famiglie italiane, calcolato al 31 dicembre 2021 in 1152 miliardi di euro, subirà a regime una decurtazione di oltre 160 miliardi di euro in termini di potere d’acquisto.

In pratica, l’equivalente di 5 manovre di bilancio dello Stato, con un effetto medio di impoverimento monetario di quasi 6400 euro a nuclei familiare.

Le penalizzazioni relativamente più elevate della media si riscontrano in otto regioni: Trentino Alto Adige, Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Marche, Liguria, Piemonte e Friuli Venezia Giulia.
Si tratta delle aree geografiche dove superiore è la consistenza media pro capite di risparmio liquido, con le inevitabili ripercussioni del caso sul livello di erosione delle giacenze monetarie non immobilizzate in titoli di investimento di medio periodo.

Una prospettiva funesta rispetto alla quale occorre accelerare il più possibile su percorsi strutturati di educazione finanziaria, poiché in gioco c’è una redditività che può marcare la differenza sui destini del nostro prodotto interno lordo, tutelando il risparmio reale – tramite emissioni dedicate di titoli statali o garantiti dallo Stato – e indirizzando quote dello stesso verso i settori dell’economia nazionale e regionale già individuati dal Pnrr.

In altri termini, si tratterebbe di convertire una probabile e in parte già avvenuta perdita, pari a 160 miliardi di euro, nell’investimento di una quota corrispondente di risparmio liquido da finalizzare a infrastrutture materiali e digitali, produzione energetica e reti di trasmissione e distribuzione, strategie di rivitalizzazione di distretti e filiere industriali.

Una missione del tutto possibile e anzi non più rinviabile, se l’obiettivo è fare in modo che quanto accantonato da ciascuno di noi in anni, se non decenni, non finisca a finanziare le speculazioni intervenute sui rincari di tariffe e prezzi al dettaglio e all’ingrosso.

Dir politico Alessandro ZORGNIOTTI