Ci vuole del fegato per affrontare una folla esasperata di operai che ti circondano, ti strattonano, ti insultano

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Ci vuole del fegato per affrontare una folla esasperata di operai che ti circondano, ti strattonano, ti insultano, ti scaricano addosso tutte le colpe, anche quelle di chi ha le colpe ma lì non c’è, non si è fatto vedere.

Niente auto sgommanti o riunioni riservate in prefettura per poi scappare via di corsa, tanto un titolo nei tg e sui giornali è comunque assicurato.

Nei tg vediamo invece un uomo, il presidente del Consiglio, un potente senza scorta e con il colletto della camicia slacciato, che risponde a brutto muso a un tipo col cappuccio che gli grida in faccia: “Sei un paraculo”.

Forse l’incappucciato si aspetta che il “paraculo” se la fili via con la coda tra le gambe (gliele ho cantate), ma la scena ha uno scarto improvviso perché il potente con la camicia slacciata lo affronta (“togliti il cappuccio”) e gli chiede ragione dell’insulto.

Sa di essere accerchiato da una pressione che è quella dei corpi agitati, ma anche della disperazione, dell’angoscia, della paura perché se finisce la fabbrica finisce tutto.

I toni si abbassano.

Se fossi un paraculo direi di avere in tasca la soluzione, spiega il potente e mostra la tasca vuota della giacca che è una dimostrazione di impotenza davanti alla complessità del problema.

E anche di verità.

Per questo ho provato rispetto per Giuseppe Conte, ieri sera a Taranto, davanti ai cancelli dell’ex Ilva. Ci ha messo la faccia.

di Antonio Padellaro