Colangite biliare primitiva: ecco perché non si chiama più “cirrosi”

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Nel 2015 la comunità scientifica ha deciso di cambiare la denominazione, dato che la malattia non ha alcun legame con il consumo di alcol

Roma – “Le parole sono importanti”, sosteneva il protagonista del film Palombella Rossa, interpretato da Nanni Moretti. Quando si parla di malattie rare, diventano essenziali: spesso una patologia ha diversi nomi, mentre per i medici è necessario riferirsi ad essa in modo univoco. Altre volte, le malattie cambiano nome per rispetto nei confronti del malato: è il caso del termine “morbo”, dal latino “morbus”, “malattia che conduce a morte”, che è stato storicamente utilizzato per indicare le malattie a decorso fatale, soprattutto perché sconosciute e quindi incurabili. Attualmente è un vocabolo in via di abbandono, perché di molte condizioni è stata trovata l’origine e la cura: oggi, infatti, si preferisce parlare di “malattia di Parkinson” o di “malattia di Alzheimer”, e non più di “morbo”.

Un motivo simile sta dietro al cambio di denominazione della colangite biliare primitiva, una malattia epatica autoimmune nella quale il sistema immunitario colpisce i piccoli dotti biliari, il cui compito principale è drenare la bile e portarla fuori dal fegato. Se ciò non avviene, si verifica la colestasi, ovvero il ristagno della bile nel fegato: essendo gli acidi biliari tossici, causano un danno che può portare alla cirrosi.

“Fino a qualche anno fa la diagnosi che comunicavamo ai pazienti era quella di cirrosi biliare primitiva, e per loro era un trauma: la parola cirrosi, infatti, viene associata dal paziente ad una pessima prognosi e per lo più sottintende un’eziologia alcolica o comportamenti non corretti”, spiega la prof.ssa Annarosa Floreani, del Dipartimento di Scienze Chirurgiche, Oncologiche e Gastroenterologiche dell’Università di Padova.

“Dovevamo spiegare che si trattava di tutt’altra malattia, nella quale la vera e propria cirrosi caratterizzata dal sovvertimento dell’architettura epatica, arriva eventualmente solo nella parte finale della malattia, dopo anche vent’anni. Di questa difficoltà tutta la comunità scientifica internazionale era al corrente, così, nel 2015, abbiamo deciso di cambiare la denominazione, e ora parliamo di colangite biliare primitiva (CBP). Purtroppo – aggiunge la prof.ssa Floreani – se la comunità scientifica si è adeguata, non altrettanto si può dire per la burocrazia italiana: per l’esenzione dal ticket è ancora necessario usare il vecchio nome e il vecchio codice di esenzione”.

L’Osservatorio Malattie Rare, da quel momento, ha recepito la nuova denominazione all’interno della sua sezione dedicata alle malattie epatiche autoimmuni, e così ha fatto Orphanet, il database internazionale delle malattie rare, eliminando il vecchio termine dalla relativa pagina.

Tuttavia, la voce di Orphanet sulla CBP non è ancora del tutto aggiornata: essendo stata scritta nel 2008, non ha registrato le ultime novità terapeutiche che sono diventate disponibili per la patologia: parliamo dell’acido obeticolico, prodotto dall’azienda americana Intercept e approvato anche in Europa nel 2016. Questa molecola – che rappresenta il primo nuovo trattamento disponibile per i pazienti europei con CBP da quasi 20 anni – è indicata in combinazione con l’acido ursodesossicolico (UDCA) negli adulti con una risposta inadeguata all’UDCA, o come monoterapia negli adulti che non tollerano quest’ultimo farmaco.

Per questo motivo, l’Osservatorio Malattie Rare ha chiesto a due esperti di CBP di scrivere una nuova descrizione della patologia da poter inserire su Orphanet: il prof. Pietro Invernizzi e il dr. Marco Carbone, del Centro per le malattie autoimmuni del fegato dell’ospedale San Gerardo di Monza, si sono subito resi disponibili, e il testo è al momento in attesa di essere approvato da Orphanet.

“Le cose, negli ultimi 30- 40 anni, sono profondamente cambiate”, sottolinea il prof. Domenico Alvaro, Ordinario di Gastroenterologia dell’Università Sapienza di Roma. “Un tempo, nella maggior parte dei casi vedevamo questi pazienti quando avevano già una malattia in fase di cirrosi o addirittura per le complicanze della cirrosi, come ascite o emorragia digestiva. Oggi, sempre più frequentemente, la diagnosi viene posta in fase precoce, quando la malattia è silente o asintomatica, soprattutto nelle grandi città dove ci sono Centri di eccellenza. Quindi, è cambiato anche il modo di approcciarsi al paziente: se prima la prognosi era del tutto simile a quella della cirrosi epatica, oggi invece possiamo spiegargli che se svilupperà la malattia sarà fra dieci o vent’anni, e che ci sono diverse possibilità di tenerla sotto controllo. Era diventato difficile dare questo messaggio e al tempo stesso chiamarla cirrosi, perché nel linguaggio comune questa denominazione si associa ad una condizione irreversibile e gravissima”.

Così la comunità scientifica internazionale, con l’appoggio delle associazioni dei pazienti, ha provveduto a cambiarne il nome. “È stata una cosa assolutamente positiva – continua il prof. Alvaro – se non fosse che la nostra burocrazia non si è ancora adeguata. Dobbiamo infatti spiegare al paziente che il codice d’esenzione 571.6 che gli verrà attribuito riguarda la vecchia denominazione di “cirrosi biliare primitiva”: è evidente che, senza una giusta informazione, possa rimanere sconvolto. Per effetto dell’inserimento della colangite biliare primitiva tra le malattie croniche, i pazienti hanno l’esenzione dal ticket per gli esami e le visite di controllo, ma sarebbe molto meglio per tutti se venisse riconosciuta anche come malattia rara. La comunità scientifica l’ha chiesto più volte in via ufficiale ma non siamo stati ascoltati e la CBP non è stata inserita nemmeno nell’ultima lista di malattia rare che è entrata nei nuovi LEA” (clicca QUI per scaricare la Guida di OMaR-Orphanet alle nuove esenzioni per malattie rare).