Corsa al Bengodi della Farnesina

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Nuovi posti d’oro nella supercasta. Un comma nascosto nella Manovra bandisce i concorsi

Concorso ricco, mi ci ficco. Anche quest’anno è in arrivo, puntuale come un orologio svizzero, il concorso della Farnesina per l’accesso alla carriera diplomatica: un oscuro comma nascosto nella legge di stabilità – il comma 301 – ha dato il via libera all’assunzione, tra 2020 e 2022, di ben 105 nuovi “segretari di legazione” per il ministero di Luigi Di Maio. Tre i concorsi previsti, per 35 posti l’anno. E sono posti d’oro: la diplomazia è la super-casta dell’amministrazione italiana.

Il primo gradino della carriera, quello appunto di segretario di legazione, assicura uno stipendio di 62 mila euro l’anno, 5 mila lordi al mese. Ne beneficiano già in 328. Alla tappa successiva, quella di caposezione (in servizio ce ne sono 161), la busta paga sale a 81 mila. Per i 264 consiglieri d’ambasciata l’ingaggio arriva a 174 mila euro, mentre per i 207 ministri plenipotenziari lievita fino a 240 mila, tetto che ufficialmente vale anche per i 25 ambasciatori e per il segretario generale Elisabetta Belloni.

Per incassare la mercede non serve lasciare l’amata patria. Nel 2019 ben 427 diplomatici su 985 (tra cui 10 ambasciatori su 25 e 106 ministri plenipotenziari su 207) hanno lavorato a Roma: 386 al ministero, a volte con incarichi misteriosi (“Coordinatore del Mare”, dello Spazio, dell’Energia o dell’Ambiente), mentre altri 41 hanno retto i rapporti internazionali dietro le scrivanie del Quirinale (Emanuela D’Alessandro, consigliere diplomatico del presidente della Repubblica Sergio Mattarella), di Palazzo Chigi (Pietro Benassi, ex titolare a Berlino, consigliere di Giuseppe Conte), una dozzina di ministeri e altri enti assortiti. E nel resto del mondo? La diplomazia tricolore ha schierato solo 558 campioni, il 56 per cento del suo organico. Però strapagati: secondo l’economista Roberto Perotti “i nostri ambasciatori sono probabilmente i meglio pagati al mondo”.

Lo stipendio del nostro rappresentante a Berlino, 122 mila euro l’anno, batte quello di Angela Merkel, senza contare l’indennità per il servizio all’estero, la residenza gratis (idem le bollette e i domestici), l’auto di servizio (autista ovviamente incluso), e l’argent de poche per “spese di rappresentanza” che non vanno neppure rendicontate. E ancora non basta. L’accordo sindacale incassato nel 2019 dal Sindmae, il sindacato dei diplomatici, distribuisce ulteriori soldini: approvato negli ultimi giorni di Paolo Gentiloni a Palazzo Chigi, recepito da Mattarella con il dpr numero 85 del 24 maggio, prevede aumenti sia per lo stipendio cosiddetto “tabellare” (fino a 9.500 euro lordi in più all’anno) che per la “retribuzione di posizione” (addio tetto, la Belloni arriverà a 266 mila 800 euro).

Non mancano altre piacevolezze, come il ritorno degli scatti automatici annuali e la possibilità di ricevere “acconti” (salvo “verifica conclusiva” del raggiungimento degli obiettivi) sulla “retribuzione di risultato”. Nel 2017 l’hanno intascata in 440, un diplomatico su due, con un costo di oltre 8 milioni e singoli premi che arrivavano, per i direttori generali (e posizioni equiparate), fino a 53 mila 909 euro. Il tutto senza nessun controllo di presenza e di orario. Eppure nel 2018, ultimo concorso di cui si hanno i dati, per accedere all’ultra-casta del bengodi si sono presentati in pochini: solo 2.757 aspiranti, contro i 4.656 del 2016. Che la Farnesina, per evitare le solite volgari polemiche, abbia diplomaticamente preferito non fargli tanta pubblicità?