Cosa ha spinto Giuseppe di 88 anni ad uccidere il proprio figlio disabile e a ferire gravemente l’altro? La disperazione

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E’ accaduto a Napoli, sabato notte, Giuseppe ha impugnato una magnum e ha sparato, poi ha chiamato il 118: “Ho ucciso i miei figli”. Alle forze dell’ordine avrebbe poi confessato: “Chi avrebbe pensato a loro dopo la mia morte?”.

Il dramma della disabilità che si unisce a quello della solitudine. Ivan aveva 47 anni, era un disabile gravissimo. Francesco, l’altro fratello, un handicap minore ma invalidante. L’incertezza del futuro, la gravità delle condizioni del figlio lo hanno spinto a compiere un gesto estremo.

Le cronache ci hanno abituato alla narrazione di questi casi, ciò a cui non ci si può abituare è il silenzio che ne segue dopo.L’angoscia di quel padre è l’angoscia di molti che vivono le medesime condizioni, la disabilità è il mostro che divora i genitori che si chiedono chi assicurerà una vita dignitosa ai propri figli, chi li accudirà non facendogli mancare nulla.

Se ci penso un brivido mi assale, non mi lascia.

Non solo la politica ma ognuno di noi deve trovare soluzioni per non fare sentire sole le famiglie, per non creare ostilità sociali che incupiscono e risucchiano nel buco nero della desolazione. Le fatiche fisiche di un genitore possono essere lenite dal riposo, quelle del cuore no.

La legge “Dopo di Noi”, che abbiamo fortemente voluto e fatto approvare nel 2016, prevede una serie di strumenti pubblici e privati per l’inclusione e l’autonomia economica delle persone disabili dopo la morte dei genitori, deve essere applicata in tutte le regioni.
I fondi stanziati dal 2016 al 2018 sono però insufficienti, non coprono tutti i bisogni delle 127 mila persone che vivono con disabilità, dobbiamo fare molto di più.

C’è un’altra chiave di lettura, si chiama responsabilità sociale a cui tutti siamo tenuti. Occorre creare una rete di protezione per chi vive questi drammi, dalla famiglia ai Servizi Sociali, dalle Istituzioni alla Società civile.

Ciò che uccide è l’indifferenza e la solitudine.

Davide Faraone