Covid 19, come evitare scenari fuori controllo e un nuovo lockdown

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Ora l’impennata c’è davvero. Il tasso di positività tra coloro che sono stati sottoposti a tampone in una sola settimana è letteralmente raddoppiato (da 2,08 a 4,14). In due mesi è quadruplicato, raggiungendo livelli che solo qualche settimana fa erano quelli, giudicati altissimi, di Spagna e Francia. Sembra proprio, dunque, che il nostro paese segua le orme degli iberici e dei transalpini, con due o tre settimane di ritardo.

Speriamo di no, ma a questo punto questa prospettiva va presa sul serio e svuotata sul nascere con determinazione. Dobbiamo combattere la diffusione del virus coltello tra i denti, come ha detto il Ministro della Sanità, Roberto Speranza.

Le domande sono due: abbiamo una realistica possibilità di evitare lo scenario peggiore? E se no, cosa accadrà?

In questi mesi abbiamo imparato che vincere la battaglia è possibile, almeno nel senso di arrestare e far diminuire la velocità di diffusione di SARS-CoV-2. Ma bisogna essere molto rigorosi nell’isolamento fisico. Abbiamo imparato anche (vedi USA, Brasile e anche qualche paese europeo) che senza rigore, la battaglia si perde e il virus dilaga.

Non c’è dubbio che, in questo momento, di rigore in giro ce n’è poco. Che stiamo perdendo un’opportunità: quella di capitalizzare lo sforzo realizzato nei mesi più duri. Che stiamo disperdendo un grande patrimonio, peraltro pagato a carissimo prezzo: la morte di oltre 36.000 persone. A dissiparla questa ricchezza siamo sia noi, cittadini comuni, sia lo stato, nelle sue diverse articolazioni.

La stiamo perdendo noi cittadini la ricchezza accumulata nella prevenzione del rischio perché abbiamo smarrito la consapevolezza del pericolo incombente. Le movide e le feste, certo, che coinvolgono i giovani. Ma quante persone, anche anziane, si vedono in strada procedere allegramente senza cura del distanziamento fisico e senza mascherina. In quanti negozi si vedono persone con la guarda completamente abbassata. Come se tutti pensassero che il COVID-19 è ormai alle spalle e ben pochi sembrano accorgersi che la bestia sopita si sta risvegliando.

Ma vi sono responsabilità anche delle istituzioni. Anche qui qualche esempio: se sui treni a lunga percorrenza le regole di prudenza vengono rispettate in maniera più che accettabile, persino encomiabile, sui treni locali, una parte del trasporto marittimo e su quello aereo be’, molto lascia a desiderare. Le regole nel sistema trasporto sono troppo disomogenee. È una condizione abbastanza generale.
Cattiva comunicazione

Che dire, poi, della troppo frequente mancanza di controllo? È vero che molta gente non indossa la mascherina o che vedi sciamare gruppi di decine di persone (anche turisti con guida) che danno vita a pericolosi assembramenti, ma in giro non si vedono né i droni che inseguivano il bagnante su una spiaggia deserta di qualche mese fa, né agenti che sconsigliano e, in casi estremi, puniscono comportamenti sconsiderati.

Certo, non è con la repressione che si vince questa lunga guerra, ma è con la convinzione. Ma la convinzione va alimentata con un flusso continuo di informazione corretta, mentre continua a prevalere una comunicazione istituzionale frammentata e una comunicazione giornalistica troppo spesso caotica e stereotipata.

In queste condizioni sarà difficile evitare lo scenario peggiore.

Che non sarà, quasi certamente, qualcosa di simile a quanto accaduto nel Settentrione d’Italia tra febbraio e aprile. Con centinaia di morti ogni giorno. Sia gli scienziati che i medici molto hanno imparato in questi giorni e, pur in assenza di farmaci specifici e di vaccini, riescono a risolvere situazioni anche gravi che nei primi mesi di pandemia conclamata spesso avrebbero avuto un esito tragico.

E tuttavia oggi ci sono alcuni punti di crisi. Non dobbiamo spendere energie mentali e risorse materiali per inseguire fantasmi, come il rischio di contagio associato ai migranti. Sembra invece ormai accertato che la gran parte dei nuovi contagi avvenga in famiglia e non pare ci sia una strategia per evitare che il virus passi da figli a genitori e a nonni. Molto è lasciato al solo buon senso delle persone. Probabilmente un grande aiuto sarebbe una rete fitta e ben organizzata di medicina di prossimità. Che non sempre c’è, in Italia (salvo magnifiche eccezioni).
I limiti nel Mezzogiorno

L’altro punto debole della situazione è che le aree di maggiore sofferenza sembrano essersi spostate al Sud. La Campania è ormai la regione in cui il contagio si diffonde con maggiore velocità. Diciamocelo con franchezza: le regioni del Mezzogiorno vantano medici e operatori sanitari di grande qualità, non inferiore a quella del Centro e del Settentrione, ma non hanno né le strutture né soprattutto un’organizzazione in grado di reggere una crisi epidemica grave. La domanda (retorica) è: abbiamo approfittato in questi mesi almeno per iniziare ad allestire un’organizzazione e a costruire infrastrutture adeguate?

Cosa possiamo fare, in definitiva, per riprendere il controllo della situazione? In generale dobbiamo aumentare il grado di consapevole attenzione della popolazione (molta convinzione) e aumentare i controlli (una dolce repressione). Individuare i punti deboli del sistema sanitario (soprattutto al Sud, ma non solo al Sud) e cercare di superarli. Occorrono molte risorse da spendere immediatamente, ma occorre una nuova cultura negli individui e nelle istituzioni.

La due alternative possibili sono solo due: o lo scenario americano, fuori controllo, o il ritorno alle decisioni drastiche dei primi mesi della pandemia, con costi insopportabili per la nostra economia e per la nostra vita sociale.                                                                                                                                          Di Pietro Greco