CRISI ENERGETICA, LA UE METTE LE MANI AVANTI: INVERNO DIFFICILE ANCHE TRA UN ANNO

0
14

La commissione von der Leyen sembra avere messo in conto che concluderà il proprio mandato di governo, in scadenza nell’estate del 2024 quando si tornerà a votare per il rinnovo del Parlamento europeo, nel segno delle difficoltà. Più per i propri cittadini e imprenditori che non per il ceto politico eletto a Strasburgo, beninteso

Difficoltà non tanto legate alle capacità di approvvigionamento, quanto connesse alla capacità di incidere con unitaria efficacia sulle condizioni economiche dello stesso.

Sullo sfondo, va avanti il programma di riconversione energetica RE-POWER-EU che richiederà un certo numero di anni per una fluida attuazione e che non sarà indolore – per ammissione stessa dei vertici di Bruxelles – per famiglie consumatrici e utilizzatori industriali di elettricità e combustibili, chiamati sia a razionalizzare i consumi fossili, sia a investire nella riconversione di impianti domestici e aziendali secondo condizioni incentivanti ancora tutte da definire da parte degli Stati membri.

Guai a pensare – anche dalle parti dei Palazzi romani dove il Governo Meloni ha appena ottenuto la fiducia da Camera e Senato su un programma di distensione fiscale e tariffaria ampia – che sarà sufficiente oltrepassare più o meno indenni l’inverno alle porte, e che la circostanza di avere raggiunto percentuali di stoccaggio di gas sopra il 90 per cento metta al riparo da ritorsioni di mercato. Il nostro Paese ha la fortuna di avere potuto massimizzare l’utilizzo della propria rete di gasdotti e di depositi di stoccaggio – in totale diciassette sparsi lungo il territorio nazionale e specialmente nella pianura padana -, ma queste infrastrutture hanno raggiunto il livello di saturazione, tanto che la società Snam chiede al Governo il rilascio di autorizzazioni per riattivare e ampliare vecchi siti e approntarne di nuovi così da poter negoziare con i mercati esteri l’arrivo di ulteriori forniture.

Senza però una cornice ordinamentale di riferimento europeo, che incida sulla contingenza dei rincari insostenibili e indichi un orizzonte per la politica energetica comune, gli sforzi nazionali non consentiranno di offrire agli Italiani bollette nuovamente ai livelli, già in allora non bassi, che pre-esistevano allo scoppio della guerra russa in Ucraina.

Per adesso, il solo fattore in grado di fungere da calmiere sul mercato finanziario dei titoli energetici derivati è quello rappresentato da una unità di intenti in capo ai decisori dei vari governi statali riuniti nei palazzi del Consiglio e della Commissione UE: per esempio, è bastata la notizia del raggiungimento di un accordo di massima, sulle azioni da adottare per comprimere e rendere meno volatile il prezzo del gas, per ricondurre a ragionevolezza le quotazioni del metano, dalle quali dipendono i cosiddetti prezzi spot, ma ciò non basta per riportare al ribasso le bollette e le fatture che i vari fornitori di luce e riscaldamento hanno già notificato a famiglie e aziende.

Al momento, uno dei capitoli più significativi consiste nell’essere riusciti a fissare al 15 per cento la quota di fabbisogno continentale di idrocarburi che formerà oggetto del gruppo di acquisto comune a livello UE per spuntare un prezzo non speculativo all’import e impedire, grazie allo sviluppo di una contrattazione univoca condotta nell’interesse di tutti gli Stati aderenti, che i Paesi terzi produttori non dirottino altrove le proprie esportazioni.

Perché si è deciso di fissare una quota limitata al 15 per cento per gli approvvigionamenti comuni? Perché essa equivale in ogni caso alla metà dei quantitativi acquistati al di fuori della contrattazione di medio lungo periodo, e un simile dato è in sé molto eloquente sulla circostanza alla quale finora siamo stati assoggettati, con un terzo della domanda complessiva di energia influenzato dal meccanismo dei prezzi spot e delle quotazioni volatili concentrate soprattutto sulla piazza del TTF di Amsterdam nei Paesi Bassi.

La commissione von der Leyen ha lasciato intendere di non gradire misure nazionali unilaterali di fissazione di tetti massimi ai prezzi di acquisto come quelli adottati da Spagna e Portogallo, anche se è la natura stessa dell’Unione – come istituzione intergovernativa e non federale – a rendere non di rado opportune e necessarie soluzioni autonome a carattere regionale o a livello di singoli Stati. In Italia sarà per esempio necessario arrivare a uno scostamento di bilancio e a una moratoria di sospensione come minimo stagionale sulle bollette per evitare un record di distacchi di utenze soprattutto tra dicembre e gennaio, e ciò richiederà al governo di Giorgia Meloni una copertura da 30 a 60 miliardi per evitare di mettere in sofferenza le società di fornitura da cui dipende l’offerta di luce e gas.

Uno strumento utilizzabile in Italia per circoscrivere l’onere delle tariffe, compensandolo con aiuti economici ad hoc, sarebbe quello di rafforzare l’istituto della Golden share o Golden Power, vale a dire la partecipazione azionaria privilegiata con la quale lo Stato, per il tramite del MEF o della cassa depositi e prestiti, e gli enti regionali e locali possono intervenire in qualità di azionisti strategici sulle scelte di utile e di dividendo delle controllate o partecipate compagnie energetiche, limitando le esportazioni di gas e di energia e destinando la parte eccedente dei risultati economici positivi alla creazione di fondi di compensazione dei rincari in bolletta privilegiando le famiglie medie e derogando ai troppo stringenti e penalizzanti vincoli ISEE.

I prossimi giorni, e la prima riunione post fiducia del Consiglio dei Ministri a palazzo Chigi, saranno rivelatori delle mosse in arrivo.