Da lì a poco succede un episodio più unico che raro

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tratto da “L’ultima fila in alto”

Venaria reale, Torino, quando la cosiddetta seconda ondata dell’emergenza Covid sarà superata, e in sicurezza ci si potrà nuovamente sedere in pubblico, togliendosi la mascherina, la storica cornice di Venaria ospiterà la prima presentazione del primo impegno letterario di Gianluca Bordiga: “L’ultima fila in alto”. Gianluca si presenta pubblicamente così, in veste di scrittore. Questo libro racconta, suggestivamente, anche vari passaggi autobiografici, e gli intensi tratti drammatici dapprima della vita della famiglia paterna di Gianluca, poi ripercorre, raccontandole con una sintesi molto chiara, le fortissime emozioni contrastanti che hanno segnato la vita dell’autore; e poi, dalla metà il libro svela tanti retroscena del perseverante suo impegno pubblico in difesa dell’amato Lago D’Idro e del suo Fiume Chiese; nelle ultime pagine, spiega l’attualità del felice processo culturale unitario della Federazione delle associazioni del Chiese, che di fatto ha avviato un fenomeno antropologico senza precedenti in questo bacino idrografico. “L’ultima fila in alto” contiene tanti passaggi che potrebbero svilupparsi in Romanzo: uno di questi è quando, scoppiata la seconda guerra mondiale, il papà dell’autore, Fortunato detto Nato non viene chiamato alle armi perché ha il problema alle gambe, conseguenza della poliomelite, poi parzialmente curata; Nato ogni giorno va a Darzo, frazione di Storo, nel vicino Trentino, ci va in bicicletta, la sua Dei, va in Sartoria a imparare il mestiere, e ogni giorno deve attraversare il controllo dei tedeschi, che hanno messo la sbarra al ponte, sul confine tra Lombardia e Trentino, il vecchio territorio Austroungarico, sono poche centinaia di metri dalla casa di Nato; ormai i tedeschi lo conoscono, come arriva in bicicletta gli aprono subito e lo salutano anche scherzando, alzano la mano e lo chiamano “Schneider” che vuol dire Sarto; dopo più di tre anni di scuola di Sarto, adesso lui è capace; allora il primo ad ordinargli un abito è proprio lo zio Gioàn de l’albergo, abita dirimpetto a Nato, si veste sempre molto bene, sempre con abiti doppiopetto, come si vestono gli uomini che possono permetterselo; Nato glielo fa e bene, lo zio Gioàn è molto contento; così Nato prende coraggio, lascia la Sartoria Bertelli e si mette a lavorare da solo, in casa, per provare a guadagnarsi qualcosa; in breve tempo allestisce la sua bella Sartoria, dove vanno anche delle donne ad imparare, e lavora tanto; la guerra è scoppiata da poco, nel ’39, suo papà e suo fratello erano sull’isola di Pantelleria a lavorare, e lì sono rimasti, lì il lavoro c’è, loro sanno che Nato sta bene e non verrà chiamato in guerra, pertanto loro due rimangono giù nell’isola più che possono, quel lavoro gli porta un bel guadagno; nel ’41 però il fratello Enrico viene chiamato alle armi, ha compiuto diciott’anni, gli danno l’opportunità di scegliere di rimanere in Pantelleria ed entrare nella contraerea fascista, già istituita dapprima, ma invece papà e figlio decidono di tornare a casa entrambi; il papà Antonio non sarebbe comunque rimasto giù di più; tornato a casa, Enrico viene arruolato negli Alpini e parte in guerra; i nazisti, che controllavano direttamente la zona fino a Ponte Caffaro, più giù il controllo era affidato ai fascisti che avevano il Comando di zona a Idro, all’Albergo Milano, conoscevano bene Nato perché ormai lo vedevano dall’inizio della guerra andare avanti e indietro da Darzo in bicicletta; all’inizio lo avevano fermato e trattenuto due giorni nel loro Comando di zona che era a Condino, ma non avendo trovato palesi motivi per considerarlo un oppositore al fascismo l’avevano lasciato continuare a muoversi liberamente; ma, da lì a poco succede un episodio più unico che raro…

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