Dal carcere di Padova arriva una bella storia di riscatto sociale

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Tre cooperative danno lavoro a 167 detenuti con stipendi da 600 a mille euro al mese.
Questi lavoratori fanno i telefonisti e i pasticceri, preparandosi a rientrare nel mondo del lavoro quando avranno finito di scontare le pena alla quale sono stati condannati.

È un caso raro: in Italia su oltre 60mila detenuti, solo il 4% svolge un lavoro non a carico dell’amministrazione carceraria. E sono solo 700 i detenuti che hanno un impiego vero.
È troppo poco. Non si può parlare di rieducazione del reo e del suo pieno recupero nella società se non gli si garantiscono le condizioni per lavorare, presupposto indispensabile per non ricadere nella voragine dell’illegalità.

L’esempio di Padova va sostenuto ed esportato in altre realtà.

Collegare “dentro” e “fuori” è indispensabile per umanizzare il percorso di reinserimento del detenuto che troppo spesso non viene visto come una persona che ha sbagliato (com’è nella maggioranza dei casi) ma semplicemente come un rifiuto della società.

Incentivare le assunzioni tra la popolazione carceraria significa investire in sicurezza, perché un detenuto che lavora quando uscirà di prigione sarà meno incline a delinquere.

Emanuele Dessì