Dopo l’epidemia, arriva la carestia!

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Circa 270 mila imprese che rischiano la chiusura definitiva, crollo della produzione industriale (-29,3%) e tegola sulle partite Iva (-50% a marzo).

Il grande freddo post coronavirus sembra abbattersi di colpo sull’ economia italiana e mentre le imprese continuano a lamentare la mancanza di liquidità e il ritardo degli aiuti annunciati, gli effetti del «lockdown» cominciano ad essere tangibili. Tanto da far lanciare all’ ufficio studi di Confcommercio il grido d’ allarme: se le condizioni economiche non dovessero migliorare rapidamente, quasi 270 mila imprese rischiano la chiusura definitiva. Una stima definita persino prudenziale perché, oltre agli effetti economici derivanti dalla sospensione delle attività, va considerato anche il rischio dell’ azzeramento dei ricavi a causa della mancanza di domanda e dell’ elevata incidenza dei costi fissi sui costi di esercizio totali che, per alcune imprese, arriva a sfiorare il 54%.

Diversi i settori più colpiti: dagli ambulanti ai negozi di abbigliamento fino ad arrivare agli alberghi, bar, ristoranti e imprese legate alle attività di intrattenimento e cura della persona dove, a scontare gli effetti peggiori, saranno le micro imprese per le quali basta solo una riduzione del 10% dei ricavi per determinarne la cessazione dell’ attività. Soglia per molti, da tempo superata.

Non va meglio all’ industria, come ha fatto sapere l’ Istat: «A marzo le condizioni della domanda e le misure di contenimento dell’ epidemia di Covid-19 determinano un crollo della produzione industriale italiana». O un tracollo, come l’ hanno definito alcune associazioni di consumatori: -28,4% rispetto a febbraio, ha fatto sapere l’ Istat e -29,3% rispetto allo stesso periodo dell’ anno precedente. Ma la caduta congiunturale e tendenziale supera ampiamente il 50% nella fabbricazione di mezzi di trasporto e nelle industrie tessili, abbigliamento, pelli e accessori. Tanto da spingere il mondo dell’ auto a chiedere con forza al governo incentivi per la rottamazione e l’ acquisto dei veicoli con un appello che ha unito Aci, Anfia e sindacati metalmeccanici, Fim, Fiom e Uilm. Il mercato italiano dell’ auto, colpito pesantemente dal Coronavirus, potrebbe infatti chiudere il 2020 con 500.000 immatricolazioni in meno.

Secondo Prometeia, il tracollo della produzione industriale potrebbe toccare -45,9% ad aprile, mese durante il quale il «lockdown» ha fatto sentire per intero il proprio peso sull’ industria tricolore che quindi tra marzo e aprile subirebbe un calo del 61%. Diverso invece il discorso per l’ alimentare con il calo congiunturale che si è limitato a un -4% ma questo non ha frenato ieri Federalimentare dal definire quella del post Covid una crisi persino peggiore di quella del 2008:

«Le aspettative sui consumi alimentari sono nettamente peggiori rispetto a quelle emerse nella crisi del 2008 – ha spiegato ieri il presidente Ivano Vacondio durante la videoconferenza sulle nuove date di Cibus, rinviato al 2021 – e per il 2020 l’ export avrà un ribasso in valore del 15%, e vogliamo essere ottimisti, mentre le vendite interne caleranno dal 15 al 18% in valore e dal 12-14% in quantità. La produzione in conseguenza perderà quasi il 10% con rischio ulteriore di ribasso».

In questa situazione, non è difficile intuire come mai ci sia stato un crollo delle aperture delle partite Iva: nei primi tre mesi di quest’ anno sono state aperte 158.740 nuove partite Iva con una flessione del 19,7% rispetto a un anno fa. Ma è nel mese di marzo che il Mef ha evidenziato un vero e proprio crollo: -50% rispetto al 2019.

Per il tessuto economico italiano si prefigura, insomma, un colpo pesantissimo, annunciato peraltro dal Mef che prevede quest’ anno una caduta del Pil dell’ 8% e dal Fondo monetario internazionale che stima un -9%.                                                                                                                                               Corinna De Cesare