È il giorno del Pd. Forse l’inizio della sua rifondazione, forse no

0
70

E i giornali corrono, prodighi di consigli, al capezzale. Luciana Castellina sulla Stampa sostiene che Letta è persona “per bene” ma che al Pd manca un progetto un progetto: “il problema non è raccogliere i cocci, ma un modello di partito copiato da quello americano”. Marc Lazar, Repubblica, ci assicura che il Letta che torna da Parigi sarà “più decisionista”. E David Sassoli, sempre Repubblica, che “è finita la stagione del partito caserma, ora bisogna aprire la grande tenda dei progressisti. Con Conte e i Cinquestelle”. Sul Messaggero Romano Prodi scrive che il Pd è da sempre in “crisi di identità” e che, per uscirne, deve darsi regole democratiche, non “semplici riti” (penso si riferisca alle primarie) e battersi per una legge maggioritaria.
Il Caffè consiglia invece la lettura di un’analisi che appare giusto oggi sul New York Times. Titolo: “Due decadi dopo ‘la fine del Welfare’ i democratici cambiano direzione”. Tra il 1992 e il ’96 Bill Clinton ripeteva, in effetti, che il vecchio Welfare aveva fatto il suo tempo. Perciò trasferì le competenze dal governo federale agli Stati e fece sua l’idea che in futuro si dovesse superare ogni forma di assistenza puntando sull’iniziativa dell’ individuo e la reazione vitale dei poveri. Dopo un quarto di secolo, Biden vara un piano, mai visto, di aiuti a disoccupati, studenti, bambini poveri, famiglie senza una mutua.
Torna lo Stato, cari lettori, e deve occuparsi dei suoi cittadini. Garantire una certa equità Combattere degrado, ambientale, economico è morale. È così in Cina, con regole e una gestione che non ci piacciono, ma è così. Così negli Stati Uniti e così deve essere in Europa. Questo mette in braghe di tela la Sinistra della Terza Via, quella che prevalse alla fine del XX secolo e che da noi s’è vantata delle privatizzazioni, della riforma del mercato del lavoro, di una ideologia che antepone produzione e produttività a salute e ambiente. Ma anche la destra ha i suoi tormenti. Brunetta che intende valorizzare gli statali. La Lega di Salvini e Giorgetti propone un suo welfare. Quasi tutti invocano più Europa. Dunque, “più Stato”? Sì, ma non se lo Stato diventa incubatore di corruzione, se burocrati e politici vengono cooptati con il metodo del familismo e del lobbismo. Perciò, servono regole democratiche. Concorsi pubblici e una selezione più trasparente della classe dirigente. Che è possibile riconsegnando la scelta degli eletti agli elettori e trasformando le elezioni in un confronto sui programmi.
Soprattutto è tempo di chiudere un trentennio in cui si è pensato che il capitalismo facesse da sé. Che i “movimenti”, ambientalisti, femministi, solidaristi, sarebbero bastati a correggerne le storture. Che la democrazia liberale fosse la forma obbligata del “nuovo”. Oggi quella che il Caffè chiama “opinione pubblica mondiale” lega i problemi tra loro: diritti per i neri e povertà dei neri, salute per tutti e ambiente, uguaglianza tra i sessi e dignità del lavoro, ricerca della verità (contro i negazionismi) e libera informazione. Una sfida che fa tremare i polsi. Nelle fasi di transizione passato e futuro si toccano.
Il nome di Sarah Everard vi dice qualcosa? Questa giovane donna è stata uccisa da un poliziotto di mezza età. Delitto sessuale, “femminicidio”. Ma l’omaggio a Sarah, anche Kate Middetlon ha deposto dei fiori, si è trasformato in un corteo infinito. E la veglia, poiché infrangeva il coprifuoco, ha visto una pesante repressione della polizia. È una ferita maggiore, quella che si è aperta in Gran Bretagna. Ora, come in America dove 27 milioni alla famiglia di George Floyd non sanano la ferita morale, si afferma una domanda. Può lo stato, di cui abbiamo così bisogno, mostrare il volto spietato e repressivo dei tempi in cui i Clinton ponevano l’accento sul pericolo dei ragazzini “superpredatori”, neri reclutati dalle bande di strada?

Corradino Mineo